Al vaglio della Corte di Giustizia la legittimità dei limiti all’ingresso in società tra avvocati
Secondo le conclusioni rese dall’Avvocato generale nella causa C-295/23, gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nel disciplinare la professione di avvocato, in particolare per quanto riguarda il suo esercizio tramite società di capitali. Ove si impongano restrizioni all’ingresso in tali società, però, esse devono essere coerenti tra loro e con i motivi di interesse generale che le giustificano.
Nella specie, l’Avvocato generale ritiene che le restrizioni imposte dalla legge tedesca alla partecipazione a una società di capitali tra avvocati non siano compatibili con le disposizioni dell’art. 15 paragrafo 3 della direttiva 2006/123/Ce, le quali osterebbero a normative nazionali che:
- consentano ai membri di talune professioni di essere soci di una società tra avvocati, escludendo altre professioni che, oggettivamente, potrebbero soddisfare gli stessi criteri in base ai quali è consentita l’inclusione dei membri di tali professioni;
- richiedano, in modo generico e senza ulteriori specificazioni, che gli avvocati e gli altri professionisti autorizzati ad associarsi svolgano un’attività professionale all’interno della società;
- consentano a professionisti diversi dagli avvocati di detenere una percentuale del capitale e dei diritti di voto sufficiente a conferire loro un’influenza diretta o indiretta sulla formazione della volontà della società, circostanza che potrebbe compromettere l’indipendenza degli avvocati nella difesa dei loro clienti.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41