Oggi il divieto a operare coi soggetti black list... e domani?
Mentre prosegue, anche oggi, l’interessante dibattito che abbiamo avviato sul limite al cumulo degli incarichi, è davvero importante riflettere tutti quanti assieme sulle scelte legislative che ci sono state regalate nel DL 78/2010, convertito nella L. 122/2010, e che sono state ottimamente evidenziate da Marco Pezzetta nell’intervento che abbiamo avuto il piacere di pubblicare ieri (si veda “Novità in materia di antiriciclaggio vessatorie per la categoria” di ieri, 4 agosto).
Cosa bisogna pensare di una norma che istituisce il divieto di instaurare ex novo o continuare ad avere rapporti continuativi (per quel che concerne gli intermediari finanziari) e di rendere o continuare a rendere prestazioni professionali (per i liberi professionisti) quando vi sono in ballo, direttamente o indirettamente, società fiduciarie, trust, società anonime o controllate attraverso azioni al portatore aventi sede nei Paesi che risulteranno compresi in una apposita “black list” di prossima emanazione?
È fuori di dubbio che queste strutture, tanto più se ubicate in Paesi che non assicurano un adeguato scambio di informazioni, possono rappresentare lo strumento ideale per dare corso ad operazioni poco trasparenti, dalla “mera” evasione fiscale” al vero e proprio riciclaggio di denaro proveniente da attività criminose.
Ebbene: vi sono decine di migliaia di persone in Italia che percepiscono uno stipendio pagato con soldi pubblici apposta per debellare questi fenomeni.
Lo facciano, vivaddio e, possibilmente, con un minimo di efficienza in più di quella che hanno fino ad oggi dimostrato.
Noi tutti facciamo il tifo per loro e siamo i primi a biasimare chi, anche tra i nostri colleghi, dovesse risultare colluso o addirittura artefice con simili fenomeni.
Quando però non c’è di mezzo alcun riciclaggio o evasione fiscale, ma soltanto esigenze di legittima riservatezza e tutela patrimoniale di un cliente nei confronti di altri soggetti privati (a cominciare, talvolta, dai suoi stessi familiari), prima ancora che nei confronti della pubblica amministrazione, perché dovremmo rinunciare ad assisterli, utilizzando strumenti giuridici che, per la maggior parte, derivano per altro da tradizioni giuridiche di Paesi che, in tema di legalità e trasparenza, potrebbero tenere al nostro non poche lezioni?
E soprattutto: perché dovremmo trasformarci noi in investigatori per scoprire se magari l’entità che stiamo assistendo professionalmente è controllata da altra entità “trasparente” che però a sua volta è controllata da uno dei soggetti “non trasparenti”?
Perché è chiaro che, nell’istante in cui l’obbligo di “astensione” da prestazioni professionali investe anche le ipotesi di interessenza indiretta di uno dei soggetti richiamati dall’art. 36 del DL 78/2010, ci troviamo ad essere obbligati a divenire tutti investigatori per conto dello Stato, oppure a pagarne duramente il prezzo.
Non ci siamo, non ci siamo, non ci siamo.
La legalità è un valore che è nel dna della grandissima maggioranza dei commercialisti italiani e troverà sempre ampio risalto su queste colonne, a costo di correre il rischio di farci sembrare qualche volta un po’ bacchettoni: chi se ne importa.
Anche il pudore però è un importante elemento su cui si fonda la convivenza civile.
Questa norma ne è completamente priva: è spudoratezza allo stato puro.
Non mi dilungo oltre, perché, per il resto, sono tutte condivisibili le considerazioni sviluppate da Marco Pezzetta nel suo intervento di ieri.
Oggi questa norma; domani, magari, la piena responsabilità per legge del commercialista per le imposte dovute dal suo cliente.
Cerchiamo di rimettere la barra dritta, dai.
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