Contributo addizionale NASpI non dovuto per le attività stagionali tassativamente indicate
Con l’approfondimento di ieri, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro analizza il lavoro stagionale, definendone l’ambito di applicazione, e auspicando un intervento normativo che risolva alcune criticità emerse sia con l’evoluzione del mondo del lavoro, sia, in ultimo, con le misure adottate per sostenere i lavoratori durante il periodo emergenziale.
Dopo aver riepilogato l’evoluzione normativa, la Fondazione arriva alla conclusione che l’attività può considerarsi stagionale solamente se rientrante in una delle ipotesi previste dall’elenco di cui al DPR 1525/1963.
Si tratta di una serie di attività tassativamente indicate, modificate dall’art. 11 comma 2-bis del DL 101/2019 con l’aggiunta dell’attività “del personale addetto agli impianti di trasporto a fune destinati ad attività sportive in località sciistiche e montane e alla gestione delle piste da sci”.
In ogni caso, la qualifica di lavoratore stagionale è rilevante per diversi aspetti. In primis perché l’attuale disciplina del contratto a tempo determinato, contenuta negli art. 19 e ss. del DLgs. 81/2015 (così come modificata dal DL 87/2018), prevede, per le attività stagionali individuate dal suddetto decreto, nonché per le ipotesi individuate dai contratti collettivi, la deroga all’apposizione di una causale e ai limiti riguardanti: la durata; il numero di contratti a termine stipulabili dai datori di lavoro; la riassunzione (c.d. “stop and go”).
Mentre, dal punto di vista contributivo si sottolinea che per l’assunzione a tempo determinato per attività stagionali individuate dal DPR 1525/1963 non trova applicazione il contributo addizionale NASpI a carico del datore di lavoro (circ. INPS n. 121/2019).
Lo stesso vale anche per il modello UniLav, il cui campo “Lavoro Stagionale” deve essere valorizzato con “S” solo se l’attività rientri in una tra quelle previste dal citato DPR.