Niente rimborso dei contributi integrativi con cancellazione dalla Cassa forense
Secondo la Cassazione, a prevalere è la loro funzione solidaristica
In caso di cancellazione del professionista dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per accertata incompatibilità, l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi; per questi ultimi non è previsto il diritto alla restituzione, in coerenza con la loro funzione solidaristica.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28979 dello scorso 3 novembre.
Il caso di specie verteva sulla rimborsabilità dei contributi integrativi versati alla Cassa forense da un professionista, in seguito al venir meno della sua iscrizione alla Cassa per incompatibilità, ai sensi dell’art. 3 del RDL 1578/33; per il giudice di seconde cure, non erano ripetibili soltanto i contributi soggettivi e di maternità, ma anche quelli integrativi.
Diversamente, secondo la Cassa forense, sarebbe errata l’equiparazione di tali tipologie di contributi: gli stessi avrebbero infatti presupposti diversi, essendo dovuti, i contributi integrativi, per il fatto stesso dell’iscrizione all’Albo, presupposto non venuto meno durante il periodo di incompatibilità; con riferimento a questi, nessun diritto avrebbe potuto vantare il professionista. Il discorso, invece, cambia con riguardo ai contributi soggettivi e di maternità, dovuti in ragione dell’iscrizione alla Cassa e che, infatti, nel caso di specie erano stati resi.
Investita della controversia, la Corte accoglie le doglianze della Cassa forense.
In primo luogo, va ricordato come la disciplina previdenziale forense definisca le diverse tipologie di contribuzione dovute dagli avvocati iscritti alla Cassa forense, individuando, da un lato, i contributi soggettivi (art. 10 della L. 576/80), versati in forza dell’iscrizione alla Cassa e incidenti sul calcolo del trattamento pensionistico spettante all’iscritto e, dall’altro, i contributi integrativi, di cui all’art. 11 della L. 576/80, da corrispondersi a opera di tutti gli scritti all’Albo degli avvocati, nonché dei praticanti iscritti alla Cassa, in misura proporzionale al volume d’affari dichiarato ai fini IVA; l’obbligo di pagamento di questi ultimi sorge, quindi, in stretta connessione alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo.
Ciò detto, la Corte evidenzia che l’art. 2 comma 3 della L. 319/75, se da un lato dispone che l’attività professionale svolta in una delle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 3 del RDL 1578/33 preclude sia l’iscrizione alla Cassa, sia la considerazione, ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense, del periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta, dall’altro non esclude espressamente che tale attività sia stata legittimamente esercitata in virtù dell’iscrizione all’albo.
Quindi, il contributo integrativo di cui all’art. 11 non viene “indebitamente percepito” dalla Cassa nel periodo di iscrizione, venendo, quindi, riscosso legittimamente, in forza delle disposizioni di legge vigenti e in relazione all’esercizio dell’attività professionale consentito dall’iscrizione all’Albo; non troverebbe pertanto applicazione l’art. 2033 c.c., che regola, in via generale, la ripetizione dell’indebito.
A conferma di ciò, si staglierebbe il disposto di cui all’art. 21 della L. 576/80, che prevede, al comma 1, per coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, solamente il diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui al menzionato art. 10, non facendo alcun riferimento ai contributi integrativi di cui al successivo art. 11. Altra conferma indiretta deriverebbe dal successivo comma 4 dell’art. 22 della stessa legge, che prevede il versamento della misura minima dei contributi integrativi anche da parte di quei soggetti (membri del Parlamento, dei Consigli regionali, della Corte Costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura e Presidenti delle Province e Sindaci dei Comuni capoluoghi di Provincia), che risultano esonerati dal requisito della continuità dell’esercizio professionale durante il periodo di carica.
La Corte quindi conclude, accogliendo il ricorso della Cassa forense e sottolineando, a ulteriore sostegno della propria argomentazione, il carattere solidaristico della previdenza forense, che non esaurisce i suoi effetti durante il rapporto di iscrizione alla Cassa: a ben vedere, il fine solidaristico non viene meno per effetto della cancellazione dell’iscritto.
Coerentemente, la restituzione di un contributo pagato al solo fine di solidarietà ne snaturerebbe il contenuto e si rivelerebbe contrario al dettato costituzionale, impedendo cioè l’attuazione del principio solidaristico costituzionalmente garantito dall’art. 2 Cost.
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