Non si può pretendere l’iscrizione degli atti societari con firma digitale
Gentile Redazione,
nonostante l’art. 31 comma 2-quinquies della L. 340/2000 garantisca ai clienti la possibilità di far iscrivere al Registro delle imprese gli atti societari che non necessitano dell’intervento del notaio a nostra cura – se (noi) muniti di firma digitale – avvalendosi di una procura speciale firmata con firma autografa, presso le Camere di Commercio si va diffondendo la prassi di pretendere che i clienti appongano la firma digitale sulla pratica e/o sui documenti che la accompagnano.
Tale prassi è chiaramente assunta in violazione di legge, e viola altresì le nostre prerogative.
Un esempio di ciò è la prassi di pretendere che gli amministratori depositino l’accettazione di carica con un documento da loro firmato in modalità digitale. Prassi che oltre a quanto sopra segnalato, spesso si risolve in modo difficoltoso e con ritardi rispetto alle esigenze aziendali: se l’amministratore fosse non residente o comunque non disponesse del dispositivo di firma digitale, sarebbe impossibilitato ad espletare tale onere (che peraltro è suo dovere rispettare in tempi ristretti) sinché non ottiene un dispositivo di firma digitale.
A conferma della illegalità della pretesa, osservo come la sentenza del Tribunale di Bologna n. 165/2023 commentata su Eutekne.info (si veda “Rischi elevati per gli amministratori anche in assenza di deleghe” del 26 maggio 2023) ha stabilito che l’accettazione della carica può essere validamente assunta anche in modalità tacita.
Urge un richiamo immediato del Ministero competente affinché tali prassi vengano adeguate nel rispetto delle disposizioni di legge.
Aggiungo, per quanto occorrer possa, che a differenza di quanto faccia comodo ritenere agli organi della P.A., la firma digitale non è affatto un metodo di firma intrinsecamente più sicuro della firma autografa.
Proprio come si precisa nella sentenza citata, le firme autografe possono essere analizzate dal perito sì da confermarne l’autenticità. Diversamente le firme digitali si presumono attribuite al firmatario, quand’anche non fosse stato lui personalmente ad utilizzarla e/o a digitare il “PIN” ad essa associato. Sicché, ad esempio, se la firma digitale apposta sul documento “accettazione di carica” venisse apposta da un Commercialista e non dal soggetto obbligato, apparirebbe “certa” pur essendo “falsa”.
A ciò va aggiunta la constatazione che i dispositivi di firma digitale non vengono rilasciati da pubblici ufficiali, ma da operatori economici “privati” sulla base di firme autografe (non autenticate) e copie di documenti d’identità (facilmente reperibili senza il consenso dell’interessato). Tali procedure, associate alla mancanza di un registro pubblico dei dispositivi di firma digitale rilasciati, che consentirebbe quantomeno di verificare se fossero stati rilasciati illecitamente altri dispositivi di firma a proprio nome, aprono la strada ai furti d’identità di cui le cronache quotidiane offrono un ampio panorama.
Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano