Limiti non solo al cumulo degli incarichi, ma anche al numero di mandati
Dopo due o tre mandati nella stessa impresa, di fatto si viene a perdere quella funzione di terzietà, su cui si basa il sistema italiano dei controlli
Pubblichiamo l’intervento di Luigi Carunchio, presidente dell’UNGDCEC (Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili).
Ho letto con attenzione l’editoriale con il quale Enrico Zanetti (si veda “Dibattito aperto sul limite agli incarichi” del 29 luglio) ha riaperto un dibattito molto caro alla categoria e, in particolar modo, al nostro sindacato: il cosiddetto limite al cumulo degli incarichi negli organismi di controllo interno per le società, anche per quello che concerne le società non quotate o, più propriamente, le società diverse da quelle d’interesse pubblico.
Lo scorso 28 luglio il Consiglio Nazionale ha approvato le nuove linee guida di comportamento del collegio sindacale che sarà messo in pubblica consultazione dal prossimo 6 agosto sul sito internet del Consiglio. La commissione del CNDCEC ha fatto di certo un buon lavoro. Se non altro perche si è buttata una pietra nello stagno delle ferie agostane, dove tutti ci riprendiamo dalle fatiche delle scadenze.
Da anni l’UNGDCEC ha portato avanti uno slogan che recita: “per fare le cose fatte bene occorre il tempo per farle”. Il riferimento alla limitazione degli incarichi nei collegi sindacali era esplicito. Eravamo nel 2006 e la crisi economica non si era ancora fatta sentire. Da un’analisi degli incarichi emergeva che per le non quotate vi erano colleghi che arrivavano (e arrivano tuttora) a oltre cinquanta collegi sindacali, mentre per le quotate assistiamo a un walzer negli incarichi di governance e degli organi di controllo che fanno sì che spesso assistiamo a controllori e controllati rappresentati di fatti dagli stessi soggetti. Oppure la presenza di uno stesso soggetto nel board dell’istituto finanziatore e nelle società da questo finanziate.
Nel 2008 abbiamo denunciato ancora come fattore prodromico di un’eventuale crisi questi conflitti d’interessi o peggio lo svilimento di una funzione professionale tipica del dottore commercialista che veniva vissuto dalle imprese come una tassa senza poter cogliere l’apporto professionale dato dall’organo di controllo.
Oggi arrivano la rivoluzione nella revisione legale (anche se poi sappiamo che poche società di revisione controllano il 95% del mercato globale della revisione) e la delibera del 28 luglio che riaccende le luci della ribalta su un problema tra chi non vuole limiti e chi i limiti li vive quotidianamente. Dove la funzione pubblica lascia il passo ai legami relazionali.
Non si può paragonare l’attività svolta dal revisore al massimo numero di processi sopportabili da un singolo avvocato rimandando il tutto alla capacità di organizzarsi. In primis perché la funzione del collegio sindacale non può e non deve essere standardizzata e rinviata all’organizzazione di uno studio, perché si svilirebbe della sua sostanza; poi perché all’interno delle attività di detta funzione vi sono degli obblighi di presenza in azienda in determinate date dell’anno che darebbero, di fatto, al professionista, oltre alle indiscusse capacità professionali, anche un dono dell’ubiquità difficile da acquisire con l’organizzazione.
Riteniamo che un limite al numero degli incarichi faccia sì che quella funzione sociale sia fatta nel migliore dei modi e percepita finalmente per quella che è: una parte della nostra professione. Non possiamo nemmeno comprendere chi controbatte che di fatto svolge solo le revisioni, posto che la complessità del sistema economico è tale che non possiamo più assistere a colleghi che, di fatto, non svolgono altro.
Maggiore attenzione andrebbe ancora posta all’indipendenza del revisore, ponendo anche un limite al numero dei mandati da poter svolgere all’interno della stessa impresa, poiché, dopo due o tre mandati di sindaco, di fatto si viene a perdere quella terzietà insita proprio nella funzione di revisore. Negli enti pubblici esiste già un limite ai mandati consecutivi possibili.
Il sistema italiano dei controlli è solido perché poggia le basi sul ruolo terzo del revisore: sarebbe auspicabile trovare un sistema di nomina dell’organo di controllo che sia svincolato dalla potestà volitiva dell’assemblea e demandato a un soggetto terzo che sia davvero tutore degli stakeholders dell’azienda.
L’indipendenza dell’organo di controllo deve essere alla base dell’attività del sindaco revisore, altrimenti viene meno non solo il suo ruolo sociale ma la funzione tutta.
L’Unione Giovani Dottori Commercialisti vuole approcciare problematiche scientifiche con il giusto approfondimento che merita e sulla questione vuole provare ad andare un po’ più in là, proponendo un passo avanti rispetto alla mera querelle “limiti sì, limiti no”.
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