Liberi di scegliere, ma la «nostra» Cassa resta l’opzione migliore
Caro Direttore,
ancora una volta un dibattito stimolante che, in questo caso, riguarda i nostri interessi e le nostre tasche.
Perché, si chiede il collega Gasparoni, “versare alla nostra Cassa di Previdenza più del 10%?”. Non solo, ma dandosi una risposta, perviene ad un’amara conclusione: “No grazie” (si veda “Versare alla nostra Cassa di previdenza più del 10%? No, grazie” dell’11 novembre scorso).
Premesso che andrebbero evitate posizioni pre-concette, data la tecnicità della materia, sottolineo che la lettera del collega raccoglie lo sfogo della pressoché unanime popolazione giovanile dei Dottori Commercialisti ed alimenta il dibattito sull’equità intergenerazionale portata dalla nostra previdenza.
Per una volta partirei dal fondo, dalle conclusioni, per poi cercare di argomentare.
A Gasparoni direi quindi, provocatoriamente e semplicemente, così: fermo restando l’obbligo di legge di rispettare i minimi dovuti alla nostra Cassa, a te la valutazione di dove versare, ma in ogni caso versa di più! Per il tuo diretto e personale interesse. E, se valuterai con attenzione il tutto, vedrai che versare alla “nostra” Cassa di Previdenza è meglio.
Può sembrare certo una provocazione, ma dobbiamo cominciare a riflettere sul fatto che in un sistema contributivo, al quale – ormai è chiaro – tutti gli Enti dovranno uniformarsi, un’aliquota del 10% non potrà mai garantire un livello della prestazione previdenziale che possa definirsi adeguato.
Non si può sfuggire a questa constatazione. Per tutti noi, ma per i giovani soprattutto, è dura digerire questa “verità”, in un momento in cui l’obbligo del versamento contributivo, nell’immaginario collettivo, viene assimilato ad una tassa. Ma è necessario e socialmente utile prenderne atto.
Veniamo quindi alla nostra Cassa e alle osservazioni del collega.
Come non essere d’accordo con lui, soprattutto da un punto di vista etico, sull’atteggiamento di alcuni nostri colleghi, che hanno ritenuto di presentare centinaia di ricorsi contro il contributo di solidarietà? E come non essere d’accordo con lui sulla generosità, ancora oggi a livelli eccessivi, del sistema reddituale?
Sulle motivazioni che hanno portato a ciò si è soffermato l’intervento di Luigi Carunchio, che condivido (si veda “Una previdenza con troppi privilegi” del 16 novembre).
Per una piena solidarietà intergenerazionale occorre essere chiari, talmente chiari che, mentre sui diritti acquisiti l’unica “consolazione” è quella di constatare come la “nostra” Cassa abbia saputo proporre una riforma prima e meglio di altri, ai colleghi che hanno ricorso o che sono tentati dal farlo, anche in ragione dell’orientamento giurisprudenziale, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti chiede a gran voce un gesto di solidarietà e generosità: fermatevi! Diamo la dimostrazione di essere una categoria “illuminata”. A volte possono bastare soddisfazioni morali, soprattutto se si è già privilegiati. Sarebbe un segnale importantissimo e a tal fine, come Presidente di AIDC, invito tutti coloro che lo vorranno ad accogliere questo appello e a promuoverlo. La nostra Associazione sarà al loro fianco.
Tuttavia, a Gasparoni va ricordato che i colleghi pensionati che continuano a svolgere la professione, in un sistema già corretto come il nostro, non producono ulteriori danni. Al contrario, essendo portatori di un flusso finanziario legato al contributo integrativo, contribuiscono ad alimentare il bilancio della “nostra” Cassa.
Detto questo, il tema dell’adeguatezza deve essere la nostra rotta tracciata sul futuro.
È per questo motivo che, sin da subito, abbiamo sostenuto sia la delibera del giugno 2008, proposta dal precedente Consiglio di Amministrazione, sia l’ormai noto disegno di legge presentato dall’Onorevole Lo Presti, adoperandoci pure affinché, dopo una pressoché unanime approvazione alla Camera dei Deputati, quest’ultimo riprendesse celermente il suo cammino al Senato, per diventare legge dello Stato. Allora, oggi ancora di più, avendo ricevuto la certificazione degli organi vigilanti per aver impostato il nostro sistema previdenziale verso una sostenibilità duratura, occorrerà insistere affinché sia colta la possibilità di finanziare con il contributo integrativo il proprio montante individuale, ovviamente alla condizione virtuosa che si faccia accrescere l’interesse verso un maggior contributo soggettivo. E ancora, occorrerà continuare a sensibilizzare i Ministeri Vigilanti, affinché sia riconosciuto sine die il contributo integrativo all’aliquota attuale del 4%.
Chiudo segnalando al collega Gasparoni che non secondario appare l’aspetto dei costi di gestione e quello dei rendimenti, opportunamente ricordati da Walter Anedda e Luca Bicocchi, ma che danno lo spunto per sottolineare come alla previdenza complementare sia utile ricorrere, ma dopo avere utilizzato tutto il range di aliquote previsto dalla “nostra” Cassa (si veda “Anedda e Bicocchi: ecco perché versare oltre il minimo del 10%” del 15 novembre).
D’altronde siamo dottori commercialisti e quindi sappiamo bene che ci sono anche motivazioni legate alla piena deducibilità fiscale del contributo soggettivo, piuttosto che quella limitata per i versamenti destinati a forme complementari.
In conclusione, non posso non sottolineare quanto ha già fatto la “nostra” Cassa e quanto – nel solco già tracciato – si sta già facendo per l’equità tra le varie generazioni. Basti ricordare le azioni portate avanti dal precedente Consiglio di Amministrazione con l’eliminazione dei vincoli in merito alle varie forme di pensione indirette e la citata delibera in merito all’accredito del contributo integrativo. Così come va sottolineato l’impegno dell’attuale Consiglio di Amministrazione, già concretizzatosi con la riduzione dei coefficienti di trasformazione, la riproposizione del contributo di solidarietà e dalla proroga del contributo integrativo al 4%.
Proprio partendo da questi elementi tecnici, mi permetto di evidenziare che le pagine di un giornale di categoria potrebbero essere ben sfruttate se riuscissimo ad affrontare temi specifici quali il riscatto degli anni di laurea, la totalizzazione, la pre-iscrizione dei tirocinanti, l’assistenza sanitaria, ovviamente in un’ottica propositiva, con idee e suggerimenti.
Ho fin qui definito la Cassa come “nostra”.
E “nostra” dovrà rimanere in tutti i sensi, la Cassa di Previdenza dei Dottori Commercialisti. Forte, competente, autorevole, indipendente, autonoma, dove tutti gli iscritti possano trovare occasioni di dibattito e di ascolto.
E questa è forse la ragione più affascinante di tutte per amarla.
Dal canto nostro faremo di tutto per garantire che sia sempre così.
Marco Rigamonti
Presidente Associazione Italiana Dottori Commercialisti
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