Per migliorare il rapporto con il Fisco, la categoria deve reagire
Caro Direttore,
dopo aver letto il suo editoriale del 10 gennaio (“Fisco: una comunicazione tira l’altra”) con il suo sconfortante quadro d’insieme, che tuttavia delinea fedelmente la situazione in cui versano il Fisco italiano e, in particolare, il rapporto Fisco-commercialisti, mi sono ritrovato in uno stato di attesa e mi è sorta spontanea una domanda: e quindi?
Dopo tutto quello che è stato detto in merito all’ormai inaccettabile rapporto Fisco-commercialisti, domando se non sia giunto il momento di alzare un po’ i toni del dialogo nel tentativo che l’immagine conquistata nel corso di questi anni, anche nei confronti del Fisco, consenta di passare dalle parole ai fatti.
Se è vero, come è vero, che la considerazione nei confronti degli intermediari fiscali (gran brutta terminologia che certamente non aiuta) è scarsa se non nulla; se è vero, come è vero, che solo grazie alla collaborazione (forse eccessiva) degli intermediari fiscali è stato possibile per il Fisco strutturare un sistema siffatto; se è vero, come è vero, che tutto ciò si traduce in una moltiplicazione dei costi (e, aggiungerei, anche in uno svilimento della professione) in assenza di qualsiasi ristoro, mi chiedo come sia possibile che la categoria dei commercialisti sia disposta a sopportare (fino a quando?) tutto questo, e molto altro, senza reagire.
Quale vantaggio strategico c’è a mantenere questo profilo? Quale più importante obiettivo giustifica tutto ciò?
Perché non parliamo mai di compensi? Sembriamo quasi pervasi da un sentimento di vergogna.
Di questo passo e con i costi di gestione di uno studio professionale, per molti colleghi i conti rischiano di non tornare.
Personalmente, e sono convinto di interpretare il sentimento di molti, inizio a provare un profondo disagio, quasi un fastidio, nel compiere quelle operazioni quotidiane prive quasi del tutto di contenuto professionale e, spesso, anche di buon senso, che distolgono tempo e risorse preziose alla struttura professionale, che ben potrebbero (e dovrebbero) essere dedicate alla produzione di un valore aggiunto in senso ampio.
Mi verrebbe da dire che sarebbe necessaria una norma sul controllo dello stress dei commercialisti indotto dal Fisco (anche perché vorrei si tentasse di evitare di farci rovinare il fegato).
Tornando al punto. E quindi?
Non posso che esprimere l’auspicio che gli organi deputati vogliano al più presto adottare una strategia che meglio coniughi l’interesse collettivo dell’Ordine agli imprescindibili interessi un po’ più particolari degli iscritti che l’Ordine compongono.
Stefano Canegallo
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Tortona
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