Giusto parlare di invii telematici, ma le sfide davvero importanti sono altre
Caro Direttore,
mentre ferve la discussione sul sacrosanto compenso che i commercialisti devono ricevere dallo Stato per gli invii telematici, sento dire da molti colleghi del mio territorio di riferimento che si tratta di una battaglia importante ma, in fondo, non più di tanto.
Credo che questi colleghi non abbiano torto e provo a spiegare perché. Comprendo le ragioni di chi vive in ambiti in cui i servizi professionali sono la principale fonte di sostentamento, ma ciò non deve far dimenticare le altrettanto legittime istanze di chi appartiene a un tessuto economico più sviluppato, in cui la concorrenza più sentita è quella degli studi legali internazionali e del mondo delle big four.
Queste mie considerazioni traggono spunto anche dall’intervento che Massimo Miani, Presidente dell’ODCEC di Venezia, ha fatto all’Assemblea dei Presidenti del 2 febbraio scorso, e che mi vedono totalmente d’accordo.
È vero che i servizi a favore dell’intermediazione negli adempimenti tributari, la conciliazione e la revisione legale sono fronti con i quali tutti noi dobbiamo confrontarci, che possono rappresentare un’occasione per i più giovani, ma non credo che si tratti di ambiti nei quali questi stessi giovani possano costruire profili di carriera particolarmente remunerativi, posto che, specie le prime due attività, vengono oramai percepite dal mercato come una sorta di commodities.
Io continuo a credere, invece, che ci sia un grande spazio di crescita per tanti (anche se non per tutti) nella consulenza, persino negli ambiti in cui storicamente la nostra Professione ha costruito la sua fortuna: diritto tributario, diritto commerciale, operazioni di finanza straordinaria e procedure concorsuali. Occorre però prendere coscienza di due aspetti fondamentali. Il primo è il venir meno dell’asimmetria informativa fra consulente e cliente: rispetto a dieci anni fa, la quantità e la qualità delle informazioni tecniche a cui i nostri clienti possono accedere gratuitamente o con un costo da commodity è enormemente incrementata; ne deriva che il sapere qualificante è un sapere approfondito, molto specialistico e che trova particolare valorizzazione nell’esperienza professionale.
Il secondo elemento è la complessità del sistema, che nel tempo è cresciuta esponenzialmente; ciò significa che gli ambiti tecnici sono tra loro fortemente interrelati: spesso non è possibile risolvere un problema tributario senza valutarne gli effetti in termini, ad esempio, previdenziali, giuscommerciali, di applicazione dei princìpi contabili, di merito creditizio, e così via.
Di fronte a queste due evidenze, i commercialisti hanno necessità (e spesso esplicitamente chiedono) di una politica di categoria che consenta loro sì di coprire i costi di struttura, ma che sia anche occasione di qualificazione professionale, consentendo loro di competere ad armi pari con strutture agguerrite che stanno soffrendo come noi della crisi dei mercati finanziari e che, appunto per questo, stanno efficientando i loro processi e abbassando progressivamente la dimensione delle imprese target dei rispettivi mercati.
Quali, dunque, le linee che la “classe dirigente” della Professione deve perseguire per dare risposte a questi problemi?
A mio avviso, sono due. La prima è quella della formazione (universitaria, magistrale e professionale), che deve essere qualificata, elevata e distinta dall’altrettanto necessario aggiornamento trasversale, in modo da consentire ai giovani di programmare e costruire un percorso di carriera volto alla specializzazione e che probabilmente li vedrà protagonisti di strutture professionali articolate e multi-disciplinari.
La seconda è quella dell’aggregazione delle strutture, per dotare i professionisti di strumenti associativi adeguati ai tempi, per tipizzare e disciplinare le reti (in particolare dopo che il DLgs. 39 del 2010 ha “legalizzato” la consulenza delle società di revisione), e per promuovere meccanismi incentivanti delle aggregazioni anche nel nostro settore, eliminando i fattori che invece ora le disincentivano, quali, ad esempio, la negazione del privilegio ai crediti professionali degli studi associati.
I prossimi due anni di mandato possono essere una valida occasione per ingaggiare la battaglia anche su questi temi e fare in modo che, fra dieci o vent’anni, la Professione non sia ristretta negli ambiti dei servizi ma, attraverso la competenza e l’esperienza dei colleghi, sia ancora in grado di dare soddisfazioni economiche e di contribuire alla crescita del Paese.
Marco Pezzetta
Presidente ODCEC di Udine
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