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EDITORIALE

Dopo la manovra è tempo di prove di dialogo

/ Enrico ZANETTI

Sabato, 10 settembre 2011

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La manovra-bis non ha ancora concluso il suo iter parlamentare, ma il quadro è ormai definito. Usciamo da questa estate con molte novità, un buon numero delle quali assai indigesto.

C’è anche qualche scampato pericolo, per fortuna: la grande battaglia di opinione e informazione, che, anche su queste pagine, i commercialisti italiani hanno condotto sul tema della giustizia tributaria, ha prodotto una sostanziale marcia indietro sul fronte delle modifiche al regime delle incompatibilità per i giudici non togati, da cui sarebbe conseguito quello spostamento del baricentro della composizione delle Commissioni tributarie che aveva fatto gridare le rappresentanze istituzionali e sindacali della giustizia tributaria al rischio concreto di un suo “addomesticamento” a favore del Fisco. Un merito non secondario, da riconoscere a chi in questa battaglia si è impegnato, va ricondotto all’essere riusciti a far passare il messaggio, anche presso i non addetti ai lavori, che la presenza di commercialisti nelle Commissioni tributarie non è elemento di pericolo per il Fisco e di vantaggio per il contribuente, ma di garanzia per l’equilibrio e la qualità tecnica del sistema. Non è poco di questi tempi, per una categoria spesso associata nel modo più infamante all’evasione fiscale, per demeriti che onestà intellettuale impone siano riconosciuti anche come propri.

Ed è proprio dal dibattito sulla lotta all’evasione fiscale che bisognerà ripartire nelle prossime settimane, per cercare di mettere un po’ di ordine e concretezza tecnica, di pari passo con il progressivo spegnimento di echi ideologici e furori disperati che da sempre la politica di ogni colore, assetata di gettito, riversa ad ondate su questa delicatissima tematica. Per fare questo, serve un confronto vero tra quelli che sono i principali player della tecnicalità fiscale di massa di questo Paese: Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e, piaccia o non piaccia, commercialisti. Un dialogo che può sembrare difficile, dopo le tensioni che hanno caratterizzato questi ultimi mesi, quando più volte la voce dei commercialisti si è levata in modo apertamente critico nei confronti delle scelte compiute dal legislatore fiscale.

Anche se, in verità, la madre di tutte le critiche è alla fine qualcosa che, se esigenze di ruolo non imponessero doverosamente il contrario, verrebbe probabilmente detta volentieri, a pieni polmoni, dagli stessi esponenti dell’Amministrazione finanziaria italiana: fino a quando la lotta all’evasione verrà fatta per tamponare esigenze di gettito, anziché per ripristinare l’equità sociale tra i cittadini, mettendo a budget preventivo l’ammontare dei recuperi attesi, anziché distribuirli a consuntivo sotto forma di riduzioni della pressione fiscale complessiva, sarà impossibile pretendere dalla macchina fiscale italiana un’azione decisa, ma serena; ferma, ma non ossessiva. E sarà ipocrita, dopo averle messo in mano armi sempre più potenti e averle chiesto di riempire il carniere non meno di una certa soglia, criticarla poi perché spara su tutto quello che le capita a tiro.
Il più sarebbe fatto se si riuscisse a mettere la politica di ogni colore di fronte alle proprie responsabilità su questi elementari concetti, rispetto ai quali gli strali dei commercialisti sono, alla fine, più arringhe difensive che critiche (a meno che, naturalmente, si voglia negare in radice la deriva di oppressione fiscale che questa situazione è suscettibile di generare e, nei fatti, genera) di quelli che considera i suoi interlocutori tecnici e dai quali si aspetta, nel rispetto dei ruoli e nell’interesse di tutti, una sponda interna di rilancio, piuttosto che un muro contro muro.

Fatto questo, diverrebbe possibile elaborare proposte condivise sull’individuazione degli adempimenti telematici oggettivamente imprescindibili e di quelli da cui invece si può prescindere benissimo e sull’efficacia di formule di certificazione analoghe a quelle del “visto di conformità IVA”, previa adeguata valorizzazione del ruolo del commercialista anche nei diritti, oltre che nei doveri. Si potrebbe ipotizzare uno scenario in cui, facendo ammenda anche da posizioni passate, i commercialisti avallino il ricorso a misure fortemente limitative del denaro contante nelle singole transazioni e dei prelevamenti per cassa su base annua, mentre l’Amministrazione finanziaria, messa sempre più in condizione di scovare il sommerso, potrebbe a sua volta concentrare maggiormente la sua attenzione sulle frodi e sull’evasione da occultamento, diminuendo la tendenza, oggi eccessiva proprio per l’esasperazione da gettito che su tutto incombe, ad operare disconoscimenti e riqualificazioni di ciò che viene dichiarato.

Separazione della lotta all’evasione dalle politiche di gettito, tracciabilità e adempimenti condivisi; ma anche adeguata consapevolezza della necessità di approcci diametralmente opposti nel perseguire, con la massima fermezza, le frodi e l’evasione da occultamento (il puro e semplice “nero” come le scatole cinesi nei paradisi fiscali) e nel procedere, con la massima prudenza, a contestazioni di matrice antielusiva o aventi per oggetto il disconoscimento della deducibilità di costi effettivi e debitamente dichiarati, in virtù di sindacati di economicità o valutazioni di non rispondenza alle regole fissate da specifiche disposizioni.
Sarebbe un risultato eccezionale, ma soprattutto davvero utile al Paese. Chi ci sta?

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