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LETTERE

Aboliamo l’esame di Stato: che sia il mercato a valorizzare la preparazione

Mercoledì, 18 gennaio 2012

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Caro Direttore,
sono un giovane ex praticante commercialista (ho da poco finito la pratica) che, dopo aver tentato una prima volta di sostenere l’esame di Stato, purtroppo in modo infruttuoso (la terza prova mi è stata fatale), inizia a porsi seri dubbi sull’utilità dell’esame abilitativo.

Dopo aver visto e provato sulla mia pelle l’iter dell’esame stesso, e aver analizzato nel dettaglio i temi assegnati in tutte le prove in molte sessioni d’Italia, mi pongo la domanda se sia davvero concretamente utile questo titolo. Moltissimi temi che ho visto assegnare sono assolutamente scollegati dalla realtà quotidiana che si vive svolgendo la professione: sono mere tematiche superteoriche che nulla hanno a che fare con il contesto che un dottore commercialista deve affrontare quotidianamente.

Premesso quanto sopra e considerato che il 90% del lavoro quotidiano svolto da un commercialista è assolutamente libero (contabilità, dichiarazioni, bilanci e così via), mi chiedo: questo esame a che cosa dà realmente accesso? A pochissime attività riservate, tra cui ricorsi tributari, curatela fallimentare e collegi sindacali: tutte attività che, salvo studi specializzati, rappresentano una parte molto marginale del fatturato di un commercialista, soprattutto se giovane.

Conviene iscriversi all’Albo dei dottori commercialisti? Dopo aver valutato pro e contro dell’iscrizione, inizio a pensare che siano più numerosi i “contro”: molteplici adempimenti e obblighi in più, avendo in cambio, nella sostanza, un prestigio ormai solo formale. Chi non è iscritto compie di fatto le stesse attività, senza essere sottoposto ad obblighi formativi e deontologici e, di fronte a comportamenti deontologicamente scorretti, non può essere sanzionato dall’Ordine in quanto non iscritto.

Personalmente, attendo con ansia la riforma delle professioni e mi auguro che il Governo Monti tolga l’esame di Stato, oppure che lo riformi stabilendo un programma dettagliato degli argomenti richiesti, perché ritengo che, oltre a non rispecchiare la realtà professionale vera, crei una barriera all’ingresso che non misura l’effettiva competenza dei candidati, ma solo la loro fortuna nell’aver ripassato uno specifico argomento, quasi sempre superteorico. Se il mercato della nostra professione si liberalizzasse anche nella forma, visto che nella sostanza è già liberalizzato, ci sarebbero più opportunità per i giovani e sarebbe il mercato a scegliere il professionista più dinamico e aggiornato.

Ovviamente, questo è solo un semplice parere. Spero però, in ogni caso, che la nostra professione venga davvero riformata radicalmente perché, indipendentemente da quanto i lettori di questo quotidiano possano concordare con la mia visione, ho solo descritto una realtà di fatto di cui non si può negare l’esistenza.


Matteo Pozza
Ex praticante ODCEC di Bergamo


***


Caro Futuro Collega,
al netto della comprensibile amarezza, la tua lettera evidenzia un problema di crescente mancanza di appeal della professione nei confronti dei giovani, e chi è già all’interno del “recinto” dell’Albo ne ha, peraltro, ormai ampia consapevolezza. Anzi, a dire il vero, la perdita di appeal si comincia ad avvertire da qualche anno anche tra questi ultimi e l’attuale periodo di crisi enfatizza ulteriormente il malessere.

Ha senso fare (o aver fatto) tutta la trafila per iscriversi all’Albo e rimanervi iscritti, nonostante gli obblighi superino di gran lunga le prerogative e la generalità delle attività possa essere svolta a prescindere dal titolo professionale?
Per quel che vale, la risposta che mi do ancora oggi è sì. Fino a quando il nostro Ordine esisterà e il nostro titolo professionale avrà dunque un proprio significato definitorio compiuto, anche altri potranno fare ciò che tutti associano alla figura professionale del commercialista, ma lo faranno appunto senza esserlo. Chi antepone l’essere all’apparire, si darà sempre questa risposta. Magari sbuffando e imprecando sempre più spesso (inciso autobiografico), ma alla fine continuerà a darsi questa risposta.

Mi limito a farti un “in bocca al lupo”, a nome di tutta la redazione, per il tuo prossimo tentativo e a ricordarti che gli esami, tutti gli esami, sono fatti così: hanno sempre una componente di terno al lotto. Una componente che dovrebbe essere il più possibile minimizzata e che invece, negli esami di Stato, a volte finisce per essere amplificata dalla componente accademica delle commissioni d’esame. E pensa un po’ che, qualche tempo fa, la Fondazione Debenedetti, nella sua “pregevole” ricerca sulle dinastie professionali, ha caldeggiato l’eliminazione della componente professionale dalle commissioni d’esame, a favore di quella accademica. Quando si dice aver inquadrato il problema.


Enrico Zanetti
Direttore Eutekne.Info

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