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LETTERE

Le riforme necessarie in un sistema fondato sugli imprenditori

Lunedì, 30 gennaio 2012

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Caro Direttore,
condivido pienamente il tuo editoriale (si veda “Le liberalizzazioni e la dura legge della tabellina dello zero” del 18 gennaio 2012).

Tempo fa scrissi una lettera sulla mia idea di riformare la fiscalità, introducendo, a beneficio del gettito IRPEF, il “contrasto d’interessi” tra chi compra e chi vende (si veda “Contro l’evasione, quoziente familiare e «tessera» per contabilizzare le spese”). Se tutti riuscissimo a dedurre buona parte delle spese che sosteniamo, avremmo interesse a collaborare con lo Stato per far certificare i proventi al venditore, lo Stato smetterebbe di concentrarsi solo sull’attività di polizia fiscale (che, per inciso, ci costa oltre 4,5 milioni di euro su 11, forse, ma ho dei dubbi, recuperati) e potrebbe tornare a fare ciò che i grandi pensatori liberali, padri delle democrazie occidentali, hanno suggerito debba fare; si potrebbe finalmente, anche da noi, instaurare un rapporto virtuoso tra cittadino e Stato, fondato su collaborazione ed efficienza e molto altro. Ho visto con piacere che questa mia idea, finanche banale nella sua semplicità, comincia a fare breccia anche nelle considerazioni che i maîtres à penser della nostra “stampa specializzata” riportano nei loro dotti editoriali.

Non mi si dica (considerazione dei detrattori) che tale sistema sarebbe ingestibile per la complessità indotta dalla conservazione e dal controllo di milioni di documenti cartacei. Mi viene da sorridere. Nell’era del controllo elettronico dei movimenti bancari di tutti i cittadini, di Internet, degli smart-phones, è davvero possibile pensare che il modello possa essere quello di controllare la fattura cartacea del dentista, inviata in copia quattro anni dopo?

Ovviamente il soggetto tassato (che ho proposto poter essere, per opzione, anche la famiglia) avrà a disposizione una “carta di credito fiscale elettronica”, che andrà ad alimentare il suo personale cassetto fiscale nel momento di sostenimento della spesa. Non ci sarà più bisogno di fare dichiarazioni! La dichiarazione la invierà l’Agenzia e il contribuente dovrà solo verificare la corrispondenza con il file in suo possesso. Quando scrissi queste mie considerazioni, che vennero pubblicate dal tuo ottimo giornale, ho elaborato un Ddl. delega di riforma basato su questi principi, che prevede anche riforme e semplificazioni per i redditi IRES, che il Sen. Giuseppe Valditara di FLI ha firmato e depositato in Senato come proposta di legge senatoriale e che è a disposizione se fosse di interesse.

Per tornare al tuo editoriale, in particolare alla parte riferita alla “liberazione fiscale” delle imprese e dei lavoratori autonomi italiani, che sono gli unici soggetti che possono veramente far ripartire la crescita, ritengo che sia necessario e imprescindibile fare urgentemente almeno due cose:
- in primo luogo l’istituzione dell’Agenzia delle uscite, che possa instillare una “sana paura” negli inetti e disonesti funzionari (quando vi siano), che sperperano enormi somme del pubblico denaro, e che fondi il proprio budget di spesa, al di là della dotazione iniziale (non gli irrisori 300 milioni della Corte dei Conti, ma nemmeno gli oltre 4 miliardi di costo della Agenzia delle Entrate), proprio sulle somme recuperate da questa attività di “controllo di gestione”. La prima attività di indagine che farei, se ne fossi incaricato, è il rapporto costo/beneficio di quella martellante, e francamente ormai fuori luogo – viste le difficoltà congiunturali degli imprenditori a far fronte agli oneri fiscali – campagna pubblicitaria anti-evasione che ci sta assillando da mesi e mesi.
- in secondo luogo la riforma, o meglio, l’integrazione degli strumenti legali di gestione della crisi d’impresa. Con la riforma della legge fallimentare, tutto sommato una buona riforma se fosse applicata uniformemente e compiutamente (ma questo è un altro discorso), il legislatore non ha voluto/potuto completare la parte degli strumenti a disposizione dell’impresa per cercare di evitare il dissesto e le sue conseguenze che tutti conosciamo.

La fase della gestione della crisi risente fortemente della mancanza di un periodo di amministrazione controllata, 6-8 mesi, legato a degli alerts calcolati su indici di bilancio, più o meno ciò che succede in Francia. In quel Paese l’imprenditore in crisi, assistito dal Giudice di Commercio, che non è un togato ma un collega o un imprenditore che capisce di bilanci e ha formazione economica, può chiedere di essere ammesso ai benefici dell’amministrazione controllata da un “curatore”, a sua volta un collega. Tutto questo salva, come dicevo, per un breve periodo, l’imprenditore dal principio del “chi primo arriva meglio s’accomoda” del nostro procedimento esecutivo, che quasi sempre è un disordinato acceleratore della crisi. Come ho avuto modo di sperimentare professionalmente il sistema francese funziona molto bene e consente veramente di salvare le aziende che lo meritano: che ci piaccia o no, il nostro sistema è fondato proprio sugli imprenditori e ci metto anche i professionisti, che rischiano, danno lavoro e producono benessere. Vogliamo capirlo?


Walter Marazzani
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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