Tre motivi di perplessità per le parole di Monti sull’evasione fiscale
Le recenti esternazioni di Mario Monti sul tema dell’evasione fiscale, pur partendo da una volontà di contrasto al fenomeno che deve essere bagaglio culturale comune di tutti gli Italiani per bene, sono preoccupanti per almeno tre ordini di ragioni.
La prima: quando il Premier afferma che l’evasione fiscale può metterci in difficoltà, nel rapporto con gli Stati nord europei cui un giorno potremmo dover chiedere aiuti, non si capisce davvero dove voglia andare a parare.
Gli Italiani, grazie anche agli interventi del suo Governo, sono oggi tra i maggiori pagatori di tasse del mondo, con una pressione fiscale oltre il 45%, superata solo da quella del Belgio e dei Paesi scandinavi.
Certo, a causa dell’evasione fiscale c’è una distribuzione molto iniqua di questo abnorme carico, ma questo è un problema che non riguarda gli altri Paesi; riguarda gli Italiani e deve essere risolto per gli Italiani, non per gli altri Paesi.
Detto in altri termini: le considerazioni di Monti hanno senso solo se si ammette di voler sconfiggere l’evasione per aumentare le entrate, portando così la pressione fiscale sino al 55%, mentre non ne hanno nessuno se, come invece a parole tutti spergiurano, la si vuole sconfiggere per ridurre la pressione fiscale su quegli Italiani che, proprio a causa dell’evasione di molti, già la scontano su questi insostenibili livelli.
La seconda ragione: quando il Premier parla di necessità di un vero e proprio stato di guerra contro l’evasione fiscale, non si capisce se si rende conto delle implicazioni che discendono da queste affermazioni, tanto più pesanti perché fatte da un personaggio pubblico che si picca di essere (e solitamente è, in effetti) particolarmente misurato nei toni.
Stato di guerra significa legittimare e probabilmente amplificare comportamenti rigidi e sommari (in guerra non si può andare per il sottile) da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del potenziale nemico che può annidarsi in ogni cittadino.
Significa quindi riportare, volontariamente quanto inopinatamente, la tensione ai livelli di alcuni mesi fa, dimenticandosi clamorosamente che certi slogan e parole d’ordine inutilmente dure, in un contesto di Paese per il resto estremamente garantista, quando non addirittura ammiccante, nei confronti di chi ruba alla collettività in altri modi (ad esempio, non facendo fino in fondo, nel pubblico impiego, il proprio dovere), suscitano reazioni di rigetto anche in molti cittadini onesti e creano l’humus per atti esecrabili che si sono già ripetutamente verificati. Cui prodest?
La terza ragione: quando il Premier parla dell’opportunità di arrivare anche a gogne mediatiche per gli evasori, non si capisce a cosa stia pensando, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo.
Chi è l’evasore meritevole di diventare il mostro in prima pagina?
Quello che froda falsificando documenti e quello che, più semplicemente, ma non meno colpevolmente, si limita a nascondere i proventi che consegue oppure, addirittura, anche quello che si ritrova con accertamenti di centinaia di migliaia di euro, quando non di milioni, perché i costi che ha ligiamente indicato in dichiarazione (ed ha effettivamente sostenuto) gli vengono considerati in tutto o in parte indeducibili sulla base di argomentazioni spesso apodittiche quali, ad esempio, la presunta non congruità dei medesimi?
Inoltre: quando deve scattare la gogna mediatica nel caso di ricorso del contribuente all’accertamento?
Si aspetta almeno una sentenza di primo grado da parte di un giudice oppure basta e avanza una bella conferenza stampa dell’Agenzia delle Entrate che comunica di aver spiccato l’atto di contestazione?
Non è una domanda peregrina in un Paese in cui le statistiche sul contenzioso tributario evidenziano che, in primo grado di giudizio, l’Amministrazione finanziaria si vede dare ragione piena solo il 40% delle volte.
In conclusione, il nostro è già un Paese in cui le esigenze di lotta all’evasione hanno prodotto una serie di norme che, se non ci si trovasse in una situazione di eccezionale emergenza, risulterebbero indegne e inaccettabili, tanto più se si considera quanto poco incisivi sono invece i rimedi sino ad oggi varati sul fronte della lotta alla corruzione e agli sprechi nel settore pubblico.
Il punto non è abbassare la guardia ma, tanto più se si ricoprono ruoli di responsabilità, smettere di alzare i toni.
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