La differenza tra fare e tirare a campare
Sono passati quasi due mesi dalla nomina di Enrico Letta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e gli interventi del Governo, soprattutto quelli di natura fiscale, consentono di provare ad andare oltre alle semplici impressioni.
Partiamo dal provvedimento di ieri, il cosiddetto decreto per l’occupazione che, tra le misure di maggior rilievo, contiene anche la proroga al 1° ottobre dell’aumento IVA di un punto percentuale.
Certamente l’aumento IVA è una iattura, ma è singolare che in pochi si siano ricordati di dire che poteva essere evitato con specifici tagli alla spesa sociale e alle esenzioni fiscali. Questa era la previsione dell’art. 40, comma 1-quater del DL 98/2011, ora abrogato dal decreto di ieri, una sorta di clausola di salvaguardia che nessuno impediva al Governo di azionare.
Si trattava di mettersi di buzzo buono e capire dove e come intervenire; attività tutt’altro che semplice e niente affatto indolore, ma quando si fa passare sotto silenzio un aumento del 10% dell’imposta di bollo (tributo non certo per ricchi), qualche sforzo in più nel guardare alla giungla dei privilegi poteva essere fatto.
E così si è arrivati alla proroga di tre mesi dell’IVA che, conti alla mano, dovrebbe valere sul 2013 circa un miliardo di euro coperti, ancora una volta, con un incremento delle entrate.
Si sa che il bilancio dello Stato va per cassa, e quindi, stando alle bozze, la via d’uscita è stata trovata nell’aumento della percentuale degli acconti IRPEF e IRES. Una classica manovra all’italiana che potrebbe far saltare la mosca al naso all’Europa. E arrivati ad ottobre? Al momento non è dato sapere; se andrà via la norma di salvaguardia, ci sarà spazio per la fantasia del legislatore, sebbene sia forte il timore che tutto si risolverà con nuove tasse.
Altro punto qualificante del decreto di ieri, al punto da battezzarlo, è l’intervento a favore dell’occupazione. Anche in questo caso, però, sembrano ripetersi gli stessi errori del passato, quando si è creduto che interventi spot circoscritti nel tempo e destinati solo a determinati soggetti potessero realmente incentivare l’occupazione.
Ora, su una cosa tutti dovremmo finalmente avere il coraggio di un’onesta consapevolezza. Chi oggi ha bisogno di assumere, assume, a prescindere da incentivi di sorta.
Il problema è la concorrenza sleale di chi produce in paesi dove non vi è alcuna tutela dei lavoratori e dell’ambiente. Il problema è difendere ad ogni costo i posti di lavoro veri che già esistono.
Il problema dei problemi oggi è, per dirla diversamente, sostenere i lavoratori, orgogliosi di quello che fanno e pagati dalle imprese, impedendo che si trasformino in cassaintegrati depressi pagati dallo Stato.
Se così stanno le cose, allora più che di incentivi di 18 mesi riservati agli under 29 e agli over 50, servono interventi per ridurre il cuneo fiscale. Si chiamino taglio dell’IRAP, taglio delle imposte, taglio dei contributi.
Servirebbero interventi che privilegino in modo strutturale chi dà lavoro in Italia. Non può essere che chi importa merci dall’estero applicando ricarichi del 1000% paghi meno imposte di chi dà lavoro in Italia magari a 100 operai, 10 ingegneri e 5 impiegati amministrativi, correndo tutti i rischi che un’attività manifatturiera comporta.
È facile obiettare che le attuali condizioni di bilancio dello Stato non consentono azioni particolarmente brillanti, ma qui si torna ad un tema che sta molto a cuore ai lettori di Eutekne.info, quello del taglio delle spese.
È ovvio che, trattandosi di interventi che incidono sul tessuto sociale del Paese, sono quelli più penalizzanti in termini di consenso e pertanto i primi ad essere rinviati.
Sarebbe quindi necessario agire anche nei confronti dell’opinione pubblica perché si acquisisca la consapevolezza che alcuni cittadini stanno ricevendo più di altri e devono accettare per questo un ridimensionamento dei loro privilegi.
Proviamo a formulare una proposta, abbastanza semplice da attuare, di costo prossimo allo zero.
Integriamo il cedolino dei pensionati con l’importo che avrebbero dovuto percepire se il loro assegno fosse stato calcolato con il metodo contributivo. Oggi prendi 100; poco o tanto che sia, sappi che se tuo figlio versasse i tuoi stessi contributi prenderà 30 o quello che viene. La differenza (70) è un diritto, meglio una donazione, che le presenti e future generazioni attive ti stanno facendo e di cui a loro volta non potranno godere.
A meno che non si voglia sostenere che l’uguaglianza è un diritto che cambia in funzione dell’anno di nascita, si dovrà arrivare a riconoscere che è necessario ridurre le pensioni più alte calcolate col metodo retributivo e che farlo non rappresenta un prelievo tributario in contrasto con il principio di uguaglianza – come purtroppo ha sostenuto la nostra Corte Costituzionale – ma una sua fattiva riaffermazione.
Aspettare ancora ad intervenire su questi temi significa accettare la desertificazione produttiva per difendere “diritti acquisiti”. Forse anche la nobiltà del Settecento considerava la propria situazione un diritto acquisito. La storia ha disposto diversamente.
Per questo servono interventi coraggiosi, il resto purtroppo rischia di essere un’operazione di mera facciata, destinata a fine ingloriosa.
Insomma, servono interventi per fare davvero e non per tirare a campare.
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