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LETTERE

Sulla formazione continua, cerchiamo di essere chiari e non ipocriti

Lunedì, 12 maggio 2014

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Egregio Direttore,
alcuni Ordini territoriali stanno consentendo ai propri iscritti in “affanno” rispetto all’assolvimento di quanto previsto dalla normativa in materia di formazione professionale continua, relativamente al triennio 2011-2013, la possibilità di aprire, a fronte di formale istanza dei diretti interessati, una “finestra temporale”, al fine di poter riversare i crediti formativi, maturati dal 1° gennaio al 31 maggio 2014, nel triennio appena conclusosi. Parrebbe che tale esigenza, peraltro recepita per venire incontro alle oggettive difficoltà incontrate dagli iscritti nel triennio in parola, sia stata altresì caldeggiata, quantomeno in qualche caso, da talune associazioni sindacali, o almeno così pare di intendere da certi comunicati aventi ad oggetto la sanatoria de qua.

È brutto chiamarla sanatoria o condono? Preferiamo rubricarla come apertura di una “finestra temporale”? Va bene, ma non adiriamoci però e non gridiamo, soprattutto, allo scandalo quando simili aperture – nella fattispecie in questione, poi, non sul filo di lana della scadenza, ma dopo settimane dalla chiusura del triennio interessato – vengono benevolmente disposte nel perimetro degli adempimenti telematici. Viviamo di scadenze e ci nutriamo di proroghe; diciamo di essere stanchi tanto delle prime, davvero troppe, quanto delle seconde, ma poi nel nostro recinto ordinistico non sappiamo tenere fede alla coerenza dell’esempio che, invece, dovremmo saper dare.

Immagino che molti colleghi, leggendo questo contributo, non solo non saranno d’accordo, ma penseranno che il sottoscritto sia solo un fastidioso bolscevico. Specie con loro, vorrei condividere un paio di riflessioni, non per convincerli, s’intende, ma per rappresentare il mio punto di vista e il mio disagio rispetto al tema in questione.

Premetto che andrebbe differenziata la posizione di quei colleghi, e mi risulta purtroppo siano anche numerosi, che nel triennio appena compiuto non hanno maturato neanche un credito formativo, da chi, invece, ha “semplicemente” collezionato un deficit numerico rispetto alla misura minima prevista. Ecco, rispetto ai primi, ritengo che – tranne nei casi, ovviamente, di specifica e giustificata esenzione – non vi sia “finestra temporale” che tenga. Con i secondi, invece, nonché con gli Ordini che hanno sposato la loro causa, vorrei pacatamente condividere una riflessione.

Atteso che la maggioranza dei colleghi presumo sia in allineamento con l’obbligo formativo e posto che svolgiamo tutti la stessa professione, seppur con specializzazioni magari diverse, mi sfugge, per mia personale limitazione, lo ammetto, il motivo per cui la gran parte dei colleghi sia riuscita a rispettare l’obbligo deontologico legato alla formazione ed altri, la minor parte, no. A questa domanda, evidentemente retorica, immagino possano giungere una serie di risposte, alcune delle quali per decenza non riporterò. Ci saranno colleghi che avranno avuto (s)oggettivi impedimenti, chi si dichiarerà contrario e scettico rispetto al concetto di formazione obbligatoria in generale, come dire questione di principio tout court, altri sosterranno che, quantomeno in taluni casi, la mancanza di vigilanza e controllo da parte degli Ordini, attività peraltro cui sono obbligati dall’art. 12 del DLgs. 139/2005, la rende poco credibile, talché meglio non farla affatto, e altri ancora, infine, che semplicemente confidavano, e magari continueranno a farlo, nell’apertura delle “finestre temporali”.

Per coerenza, gli scettici e i contrari suppongo non usufruiranno dell’opportunità concessa. In tutti i casi, comunque, il fatto di consentire di trasportare a ritroso gli eventuali crediti maturati da gennaio a maggio di quest’anno determina, da un lato, un’implicita giustificazione da parte degli Ordini sul mancato rispetto del dettato deontologico e, dall’altro lato, un’ammissione di colpa legata alla mancanza di un’adeguata programmazione di eventi capaci di fornire i presupposti minimi per il rispetto dell’obbligo formativo.

Non va taciuta la difficoltà nella quale gli Ordini si troverebbero se decidessero di azionare i provvedimenti conseguenti al mancato rispetto dell’obbligo. Una difficoltà, visti i numeri in questione, legata al venir meno del consenso di potenziali elettori e di perdita di iscritti, nei casi più gravi, e quindi di scivolamento nel ranking nazionale. A meno che alla base non vi sia la convinzione che la formazione obbligatoria, come sin qui congegnata, sia difficile da rispettare e, quindi, poco funzionale e inefficace.

Credo che tutti i colleghi che hanno, con sacrificio, adempiuto all’obbligo formativo vorrebbero sapere in anticipo quali siano gli orientamenti futuri dei rispettivi Ordini, perché chi crede nella professione e nella formazione, volontaria o obbligatoria poco davvero importa, è ingiusto debba sentirsi esposto, a posteriori, alle correnti d’aria delle “finestre temporali”. Cerchiamo di essere chiari a priori e di non essere ipocriti: questo mi consentirebbe di non dover fare la parte del fastidioso bolscevico.


Marco Cramarossa
Dottore Commercialista in Bari

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