Una storia di vita professionale vissuta sulla carenza di controlli nelle srl
Gentile Redazione,
racconto un aneddoto tratto dalla mia vita professionale.
Un importante cliente del mio studio mi telefona, allarmato: “Dottore, dottore! Ricevo da un mio piccolo fornitore, che però rende un servizio strategico e indispensabile per la mia attività, una comunicazione del seguente tenore: «Siamo in difficoltà, siamo andati in liquidazione e dal 30 giugno 2014 siamo costretti a interrompere il servizio»”.
La comunicazione è talmente repentina e ricevuta con un così breve preavviso che non ho il tempo, mi dice il cliente, “di trovare rapidamente una fornitura alternativa” (ci sono problemi tecnici legati alla necessaria modifica di numerosi apparati installati su beni di terzi).
“Nelle more di organizzarmi e trovare il sostituto del servizio subirò non solo un danno economico rilevante ma anche reputazionale nei confronti dei miei clienti. Sarei disposto ad aiutare il fornitore e, al limite, se ci fossero ragionevoli presupposti, anche rilevare la società o l’azienda, pur di non fare brutte figure con i miei clienti e ridurre il danno. Come possiamo fare?” mi chiede il cliente.
Dobbiamo vedere di persona, gli rispondo, ma prima valutiamo qualche numero per accertare se ci sono le condizioni per un intervento. Si faccia mandare una situazione economica e patrimoniale aggiornata, gli dico, mentre io provvedo a procurarmi dal Registro Imprese gli ultimi bilanci (la società è una srl) e poi facciamo una chiacchierata col suo fornitore.
Cosa troviamo (tralascio la fatica per ottenere una situazione patrimoniale anche solo approssimativamente recente, ovviamente non disponibile perché “Sa, dottore, abbiamo altri problemi e la contabilità non è aggiornata”)?
Una srl con 119.000 euro di capitale, 12 dipendenti, ricavi medi dell’ultimo triennio di poco inferiori ai 2 milioni euro, perdite medie di 250.000 euro per ciascuno degli ultimi tre esercizi mascherate da misteriose e assai fantasiose capitalizzazioni, debiti verso banche per circa 400.000 euro, un po’ di più verso fornitori e... debiti verso Istituti previdenziali ed Erario (INPS, IVA e ritenute sui dipendenti, in prevalenza), per oltre 900.000 euro, accumulati grossomodo negli ultimi tre anni, con recuperi esattoriali in parte in corso (ma senza considerare sanzioni ed interessi, ovviamente non contabilizzati perché “nel conto economico non c’era spazio”), quisquilie minori per ancora qualche centinaio di migliaia di euro e TFR per circa 90.000 euro. Di converso, un attivo costituito in buona parte da dubbie capitalizzazioni e crediti, per lo più inesigibili, ma diligentemente mantenuti in bilancio al nominale.
Conveniamo col mio cliente che è meglio evitare di farsi coinvolgere in una situazione così compromessa, salvo valutare, ma la controparte non ci sente perché la ritiene una soluzione non risolutiva per la sua – disastrosa – situazione, un affitto d’azienda.
Come finirà?
Il fornitore fallirà: 12 persone, hanno già perso il lavoro (licenziati con effetto dal prossimo 30 giugno), 12 famiglie in difficoltà, qualcuna sul lastrico.
L’attivo realizzabile non coprirà neppure una minima frazione dei debiti privilegiati.
La collettività (Erario, Istituti previdenziali, sistema del credito, fornitori, gli stessi dipendenti), patiranno un danno prossimo ai due milioni, nella migliore delle ipotesi.
Il mio cliente, il più fortunato, subirà, anzi ha già patito, un danno economico e reputazionale valutabile in qualche centinaio di migliaia di euro.
In conclusione, mi chiedo quante situazioni simili a quella sopra rappresentata vi siano in giro per l’Italia, se consideriamo che le società in forma di srl, che godono, come noto, della limitazione della responsabilità (quelle penali qui non interessano), sono molte più di un milione e quelle vigilate qualche decina di migliaia (nella migliore delle ipotesi e sempre meno, si veda il DL 91/2014).
Vogliamo continuare a tollerare queste situazioni? Vogliamo, come fa il nostro frettoloso legislatore, continuare a sostenere che la cultura del controllo societario è solo costosa e per di più ostacola lo sviluppo delle PMI, e quindi possiamo, anzi dobbiamo, “in un’ottica di semplificazione e riduzione dei costi per le piccole e medie imprese”, tranquillamente farne a meno? E i costi per la collettività e per lo stesso Stato?
Bene, se qualcuno è d’accordo con quanto sopra mi dovrà dire in quanto tempo riusciremo a far crescere la nostra economia, favorire l’occupazione e, come sottoprodotto, ridurre il deficit dello stato.
Daniele Bernardi
Presidente Commissione controllo societario ODCEC di Milano
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