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LETTERE

Ma chi ha messo il gene dell’«iperburocrazia» agli Italiani?

Lunedì, 18 luglio 2016

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Caro Direttore,
ricevo la telefonata di un cliente incredulo, che non ha potuto versare le imposte con modello F24 in banca perché uno dei righi riportava un piccolo credito, e pare che vi sia un blocco per le banche di accettare simili pagamenti.
Lascio ai “topi della Gazzetta Ufficiale” scoprire quel benedetto comma di quella legge che ha stabilito ciò.
Ma certo non è l’unico caso di stupida burocrazia che ci mantiene agli ultimi posti della speciale classifica “complicazioni inutili” nel mondo.

Basti pensare che nel resto del mondo l’informatica è vista come uno strumento di semplificazione, mentre qui siamo riusciti a farne un ulteriore ostacolo alle imprese.
La PEC obbligatoria è il caso più clamoroso, che tra poco deflagherà con la montagna di ricorsi su accertamenti decaduti perché notificati per legge ma non per davvero.
Abbiamo un sistema pubblicistico delle imprese che è interamente basato su firme apocrife: non ho mai visto, né ho alcuna notizia dai colleghi, di un solo caso in cui un amministratore o un sindaco abbia personalmente firmato digitalmente una comunicazione mandata al Registro delle imprese, eppure al Registro delle imprese non se ne è accorto nessuno perché – virtualmente e legalmente – è tutto a posto.
E, per la verità, mi risulta che nemmeno i colleghi firmino personalmente le comunicazioni, delegando (informalmente) alla bisogna la propria segreteria.
Tutto ciò ha comunque un costo, è estremamente complicato ed è ancor più complicato spiegarlo a chi Italiano non è.

Pure il mero pagamento delle tasse è un percorso ad ostacoli.

Non parliamo poi della sagra dell’invio delle dichiarazioni: ancora non v’è certezza giuridica se la dichiarazione che conta è quella originale firmata dal cliente o il “file telematico”, che di quella dichiarazione non è una copia ma una versione beta (in esso non c’è alcun segno grafico della firma del cliente).

Non chiedo una ipersemplificazione come quella tedesca, dove basta un banale bonifico bancario all’ufficio imposte per pareggiare i conti con l’Erario.

Ma almeno un po’ di normalità: lasciateci pagare le tasse in banca, spedire le dichiarazioni anche on line, ma purché siano la copia digitale vera dell’originale (leggasi copia scannerizzata), decidere da soli se vogliamo usufruire dei servizi della PEC, e se vogliamo usufruire dei benefici della “firma digitale”.
Tanto non v’è nulla da temere: le cose utili si diffondono da sole.


Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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