Il Fisco deve essere imparziale, non portatore degli interessi erariali
Gentile Redazione,
leggendo le recenti esternazioni del nuovo Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini non posso che applaudire e manifestare il mio (nostro?) pieno apprezzamento. Significativa mi pare, tra le tante, la seguente affermazione: “A chi in Agenzia vede gli italiani come contribuenti prima che come cittadini, come evasori prima che come contribuenti, consiglio di cambiare approccio in tempi rapidissimi”.
È bellissima e coglie perfettamente nel segno di quello che, a mio avviso, è il male principale che affligge il Fisco “amico/nemico”, ovvero l’assenza di imparzialità della pubblica autorità.
Troppe volte rileviamo che nelle interpretazioni delle norme e nella loro applicazione l’Agenzia ha visto se stessa come parte in causa, ovvero come portatrice degli interessi erariali in contrapposizione con quelli dei contribuenti, quando invece è il legislatore che regola gli opposti interessi, mentre il ruolo dell’Agenzia e dei consulenti è solo quello di dare materiale applicazione al punto di equilibrio voluto dal legislatore o, se del caso, chiedere una modifica se si ravvedessero storture ingiustificabili.
Un Fisco imparziale, che bastona chi sbaglia e stringe la mano a chi è corretto, è desiderabile da chiunque, soprattutto dai professionisti che spendono una gran parte del loro tempo a spiegare ai clienti le imposte da versare, mentre un Fisco dedito a trovare “qualsiasi appiglio” per tutelare le entrate erariali verrebbe visto come ingiusto da contribuenti e professionisti: soprattutto da quelli corretti.
Cito solo tre esempi: due sulle forzature interpretative ed uno sulle forzature applicative.
In risposta ad una interrogazione parlamentare – a sua volta sollecitata da una associazione di categoria dei commercialisti – circa l’aliquota di ammortamento applicabile agli impianti eolici e fotovoltaici (v’erano due interpretazioni contrastanti dell’Agenzia che conducevano a 4% o al 9%) l’Agenzia rispose: “Ne consegue, allora, che l’eventuale riconoscimento di un’aliquota «indifferenziata» del 9 per cento comporterebbe effetti negativi di gettito, sia per la circostanza che l’aliquota di ammortamento viene in alcuni casi incrementata, sia per il fatto che tutti i nuovi impianti fotovoltaici beneficerebbero del c.d. super ammortamento”. Un chiaro esempio del “lapsus”: l’interpretazione della norma (nel caso, il non riconoscimento del 9%) era fondata sugli effetti del gettito e non sulla convinzione di quale fosse l’aliquota giusta.
Una simile impostazione è potenzialmente eversiva, vuoi perché vi sarebbe una sostituzione del potere legislativo con quello amministrativo, vuoi perché deresponsabilizza il legislatore, vuoi perché finisce per alimentare il convincimento che anche il giudice possa fare la sua parte, interpretando le norme pro erario o pro contribuente a seconda delle proprie convinzioni politiche.
Un altro esempio riguarda la disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa.
Non v’è dubbio che questo principio faccia parte delle leggi che devono essere applicate da cittadini e dall’Amministrazione finanziaria.
Ebbene, nonostante in più occasioni del passato l’Agenzia abbia dichiarato che la normativa tributaria ha rilevanti aspetti di incertezza e di continuo mutamento che ne rendono difficile la corretta applicazione, non si ha notizia di un solo caso in cui – di propria iniziativa – l’Agenzia abbia emesso un accertamento contestando una maggiore imposta dovuta ma disapplicando autonomamente le sanzioni. Come se l’art. 10 comma 2 dello Statuto del contribuente fosse una disposizione applicabile solo dal giudice (ovvero come se l’incertezza si paventasse soltanto “a proprio danno” quando perde un contenzioso) o in sede conciliativa.
Infine, ma lo riportiamo come “aneddoto potenziale”, vorrei proporre al direttore Ruffini questo caso ipotetico esemplificato sulla sua figura. Non per augurargli di ritrovarsi in questa situazione, né per una ipotetica “vendetta”, ma solo perché mettendosi nei panni di chi con l’Agenzia interloquisce si capisce meglio la gravità di ciò che può accadere.
Immaginiamo che al termine del suo onorato servizio l’Agenzia corrisponda al direttore un TFR di 200.000 euro e che trattenga come ritenuta d’acconto la somma di 60.000 euro, erogando un netto di 140.000 euro.
Immaginiamo che, per un qualsiasi disguido, l’Agenzia non versi la ritenuta.
Immaginiamo ancora che, accortosi dell’errore, ma leggendo la sentenza della Suprema Corte n. 9933/2015, il funzionario competente anziché contestare alla medesima Agenzia il mancato versamento si rivolga direttamente all’ormai ex direttore emettendo una cartella esattoriale a suo nome di 60.000 euro + sanzione 18.000 euro + interessi.
Ovviamente, lui non gradirà, ma i suoi ricorsi, anche se inizialmente accolti, alla fine seguiranno la medesima sorte del caso ivi esaminato – aggiungendosi potenzialmente l’aggio esattoriale.
Sicché non solo il netto scenderà da 140.000 euro a 50.000 euro (o anche meno), ma verrà detto che tutto ciò è giusto mentre l’ormai ex direttore ha sbagliato.
Ora, non è la condivisibilità o meno della sentenza della Suprema Corte il mio punto: sappiamo tutti che la Cassazione può sbagliare, anzi che sbaglia con una certa frequenza (i c.d. “contrasti interpretativi” non sono una rarità ed evidenziano con certezza che una delle due posizioni contrastanti è errata anche se giudizialmente inappuntabile).
Il punto è che l’Agenzia non dovrebbe spingersi fin lì: è un organo tecnico competente, che anzi conosce il diritto tributario molto meglio della Cassazione: esamina migliaia di casi al giorno e non solo qualche decina.
Non solo, ma mentre il giudice relatore è sostanzialmente “solo”, perché dal punto di vista tecnico deve essere autonomo e non influenzato dai precedenti, l’Agenzia è un organo collettivo che può darsi delle direttive per limitare gli errori. Almeno quelli che generano ingiustizie palesi come quella di questo esempio.
Aspettiamo fiduciosi e speranzosi che i correttissimi auspici di Ruffini arrivino ad una concreta applicazione.
Sebbene, conoscendo la radicata posizione di partenza, per quanto i suoi sforzi saranno sommi, temiamo che nulla cambi a breve: già le bozze che circolano sulla nuova convenzione Agenzia/MEF ove si indicano obiettivi di gettito vanno esattamente nella direzione di porre l’Agenzia come “parte in causa”, stimolata così a sostenere tesi pro erario “a prescindere”.
Ruffini avrà però la soddisfazione di poter contare sul sostegno dei Commercialisti italiani.
Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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