ACCEDI
Venerdì, 20 giugno 2025 - Aggiornato alle 6.00

LETTERE

Cumulo degli incarichi sindacali: «soglia di criticità» più severa del previsto?

Venerdì, 25 febbraio 2011

x
STAMPA

Caro Direttore, 
ho letto nei giorni scorsi il tuo editoriale sulle quote di genere nei collegi sindacali (“Quote di genere in CdA e collegi sindacali? Sì, però...” del 21 febbraio) e la lettera che ti ha scritto, con riferimento ad esso, la collega Giulia Pusterla, nella sua qualità di Consigliere nazionale delegato alle pari opportunità (si veda “Quote «rosa»: tutti d’accordo sui principi, ma all’atto pratico i posti non si mollano” del 23 febbraio).

Non entro nel merito della questione “quote sì, quote no” semplicemente perché mi sembra che siamo tutti d’accordo: non è il massimo, si potrebbe magari ragionare peraltro più in termini generazionali che di genere, ma è comunque meglio di niente e vanno assolutamente sostenute in un Paese sempre più immobile nel ricambio della propria classe dirigente, tantopiù se la proposta è accompagnata dall’onestà intellettuale di un periodo di applicazione meramente temporaneo.

Vorrei invece riprendere la parte finale del tuo editoriale, nella quale proponevi un parallelismo tra questione del limite al cumulo degli incarichi nei collegi sindacali e questione delle quote di genere nei collegi medesimi, lasciando intravedere una certa incoerenza nelle due posizioni diametralmente opposte assunte in merito dal nostro Consiglio nazionale:
- massima difesa dell’autonomia privata rispetto alla scelta dirigista di limitare il cumulo degli incarichi;
- massima intransigenza nel sostenere una scelta altrettanto dirigista (e, secondo me, altrettanto giusta, ma appunto: altrettanto) quale quella delle quote di genere.

Perché due pesi e due misure?
Perché inderogabilità e sanzioni automatiche vanno bene nel secondo caso, anzi sono da difendere a spada tratta, mentre nel primo caso guai ad andare oltre mere soglie di criticità e autovalutazioni?

Nella sua qualità di Consigliere nazionale, Giulia Pusterla offre una risposta a questa correttissima domanda. Una risposta che si presenta anche abbastanza convincente: parlando della questione dei limiti al cumulo, in essa si afferma anche che “è vero, qui il limite proposto non è inderogabile, ma è un limite. Se lo superano, i colleghi dovranno andare davanti ai Consigli degli Ordini locali e durante un procedimento disciplinare giustificare i motivi che rendono, in una particolare situazione soggettiva e/o oggettiva, derogabile il limite di 20 incarichi”.

Se le cose stanno così, è indubbio che le incongruenze di fondo tra le due posizioni assunte dal Consiglio nazionale si sfumino di molto. Quindi bene.
Il punto, però, è: le cose stanno così? Non ho motivo di credere il contrario.
E, se stanno così, i colleghi che siedono negli Ordini locali ne sono consapevoli e si stanno attrezzando per verificare a tappeto chi nei loro Ordini supera la soglia di criticità, al fine di chiamarlo a rispondere nell’ambito di un apposito procedimento conoscitivo?

Nei documenti ufficiali del CNDCEC, a cominciare dalle “Norme di comportamento”, leggo che il superamento della soglia di criticità comporta l’autovalutazione dell’iscritto, mentre da nessuna parte leggo di direttive o indicazioni ufficiali agli Ordini nel senso che precede.
Intendiamoci: come Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili saremmo assolutamente favorevoli a questo indirizzo (sanzione deontologica e provvedimento disciplinare), perché renderebbe assai meno amara e prettamente formalistica la scelta per una soglia di criticità derogabile, laddove noi e i nostri iscritti avevamo chiesto a gran voce un limite inderogabile (anche, tutto sommato, per evitare agli Ordini locali simili aggravi di lavoro, in situazioni spesso di oggettiva difficoltà valutativa anche alla luce di tutte le incombenze che hanno).

Sarebbe però necessario fare un po’ di chiarezza sul punto, perché stiamo parlando di un aspetto molto delicato e su cui ci giochiamo una buona fetta della nostra credibilità come categoria.
Dopo aver tanto criticato il Legislatore fiscale in questi anni, per essersi spesso ridotto a fare diritto addirittura con meri comunicati stampa dell’Agenzia delle Entrate, non vorrei che anche noi ci mettessimo a dettare regole e direttive non con i documenti ufficiali, ma con semplici lettere a giornali pur apprezzabilissimi e molto letti come il tuo.


Luigi Carunchio
Presidente dell’UNGDCEC

TORNA SU