Lo Stato di «polizia tributaria» è ormai una consuetudine
Gentile Direttore,
ho esercitato per qualche anno la professione di dottore commercialista nella Provincia di Rovigo.
Con riferimento alla lettera sulle indagini finanziarie (si veda “Le indagini finanziarie superficiali possono portare a effetti devastanti”), volevo dirvi che mi è accaduta la medesima cosa.
Il 14 agosto del 2012 ho ricevuto una raccomandata dall’Agenzia delle Entrate con l’obbligo di dover spiegare rigo per rigo tutti i miei estratti conti correnti bancari. Avevo dieci giorni di tempo per spiegare tutti i movimenti di lavoro come commercialista e come amministratore in diverse società, oltre a tutti i miei movimenti personali. Circa 20 pagine.
La verifica era iniziata nel giugno del 2011, con la richiesta di presentare documenti di lavoro. Dopo più di un anno, senza alcuna contestazione, ecco l’obbligo di dover spiegare rigo per rigo tutti i movimenti indicati negli estratti conti. È palese che, ormai, inviare in prossimità delle vacanze di agosto e natalizie raccomandate “minacciose legalizzate” sia un modo di lavorare dell’Agenzia delle Entrate e, soprattutto, una tecnica psicologica.
Lo Stato di polizia tributaria è diventato una consuetudine da ormai il 2006, ma io non critico questo.
Critico il sistema con cui viene esercitato: verifiche retroattive, raccomandate con scadenze impossibili da rispettare, la normativa fiscale recente utilizzata retroattivamente, poteri discrezionali dei pubblici dipendenti, durata delle verifiche bibliche, spreco di energie fisiche ed economiche necessarie per sottostare alle pretese dell’Agenzia.
Simone Crepaldi
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