Dietro il nostro essere border-line c’è un problema di mercato
Caro Direttore,
ho letto con molto interesse le lettere dei colleghi Franceschini e Melani (“Commercialisti: medici delle imprese, non sensali degli affari sporchi” del 16 luglio e “Commercialisti sempre border-line, come tutte le categorie a contatto col denaro” del 28 luglio), che offrono un ampio resoconto del diffuso disagio che caratterizza la nostra professione, tra consulenti e “complici” dei nostri clienti.
Ho molto apprezzato e condiviso la tua giusta analisi e l’incitamento a uscire con immediatezza da situazioni che possano determinare imbarazzi, innanzitutto per continuare ad essere, sempre, persone per bene, vero significato di comportamento etico. Ma è altrettanto indiscutibile che la nostra attività è soggetta alle inderogabili leggi del mercato e, quindi, al consenso del cliente.
È indiscutibile che anche noi, secondo queste inderogabili forze del mercato, siamo “costretti” al “gradimento” del cliente e a esprimere quegli elementi di “vantaggio competitivo” che determinano la scelta del cliente di affidarsi al nostro studio.
Dopo ormai tanti anni di professione e un’intensa attività sul tema del marketing della professione (fra l’altro, sul sito del Consiglio nazionale della formazione online dei dottori commercialisti ci sono due miei corsi sul tema che si sono classificati in cima alla top ten tra quelli più seguiti in Italia), è indiscutibile che il cliente spesso si rivolga a noi commercialisti – ma ovviamente anche a notai e avvocati da voi tutti citati – per avere un “consiglio” professionale, ma soprattutto, pensateci, solo per avere una conferma autorevole e deresponsabilizzante di proprie decisioni già assunte o quantomeno già mature.
Allora, non c’è migliore professionista di colui che lo segue su questo percorso: diversamente possiamo considerare di aver perso, con verosimile certezza, il cliente. Questo atteggiamento molto diffuso non è certamente frutto della distorsione della nostra professione, ma del più ampio imperversare sul mercato della più sfrenata legge consumeristica: il cliente è colui che vuole tutto e subito, possibilmente gratis o a poco prezzo. Ed ecco quindi l’altro argomento “caldo”: l’applicazione (sempre più spesso disattesa) della tariffa professionale.
In definitiva, tra chi “asseconda” il cliente per esigenze tributarie, di bilancio e similari, ovvero con deroghe alle tariffe, in un contesto dove anche altre professioni occupano gli spazi ormai solo teoricamente di nostro riferimento, le difficoltà di gestire correttamente il consenso della clientela e un possibile “vantaggio competitivo” sono sempre più sentite. Così, ecco che si alimenta questa spirale che spesso – come afferma Melani – ci porta border-line.
A mio avviso, più che di patologia di un sistema e di derogare all’essere persone per bene, qui c’è “semplicemente” un problema di mercato e di conseguente sussistenza di tanti studi professionali, stretti dalla morsa dei clienti e delle loro esigenze. Ma la legge di mercato non può certamente essere, o meglio continuare ad essere, condizionante: come uscire allora da questo vortice?
Semplicemente, come suggerisce il Direttore Zanetti, passo dopo passo, faticando e con il tempo che ci vorrà, per creare una massa critica di professionisti che si oppongano con la dovuta fermezza alla dura legge di assecondare ad ogni costo le esigenze del cliente, facendogli comprendere il valore e i rischi di un comportamento difforme da norme sempre più stringenti e con una giurisprudenza sempre più costante nel sancire la nostra responsabilità, e i vantaggi di vederci – come suggerisce Franceschini – “medici” delle loro imprese.
Gianni Tomo
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Napoli
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