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LETTERE

Tutti chiedono al Governo un serio progetto di crescita, tranne noi

Sabato, 30 luglio 2011

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STAMPA

Caro Direttore,
la stampa ha dato ampio risalto all’iniziativa congiunta di Confindustria, ABI, Alleanza Cooperative Italiane (Confcooperative, Lega Cooperative, AGCI), CGIL, CIA, CISL Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Reteimprese Italia (Confcommercio, Confartigianato, CNA, Casartigiani, Confesercenti) e UGL, con la quale si chiede con fermezza al Governo e alle forze politiche una grande assunzione di responsabilità, per realizzare un progetto di crescita del Paese che sia in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione.

Salta agli occhi l’assenza delle strutture che rappresentano le libere professioni (magari di tipo confederale, come CUP e Confprofessioni), che pur concorrono in forma rilevante al PIL nazionale. Particolare rilievo ha l’assenza della professione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili che, proprio per la specifica mission, partecipa alla vita delle imprese e dei lavoratori e meglio di altri dovrebbe viverne i problemi e coglierne i fermenti.

Aggiungo che, per questo, proprio la nostra professione avrebbe dovuto farsi promotrice di tale importante iniziativa.
È inutile organizzare costosi convegni e costosissime campagne pubblicitarie se non si ha, poi, la consapevolezza concreta del proprio ruolo e dei modi e tempi con cui intervenire.


Giancarlo Tomasin
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Venezia


***


Caro Collega,
poni l’accento su una questione rilevantissima.

Mercoledì scorso, mentre le rappresentanze confederali di tutti i comparti dell’economia privata del Paese convergevano su un documento dallo scarso contenuto propositivo, ma dalla grandissima valenza socio-politica, le rappresentanze “confederali” delle professioni, CUP e Confprofessioni, erano impegnate in un convegno che aveva come oggetto l’importanza e l’insostituibilità degli Ordini (si veda “Sacconi: «La riforma dovrà essere concordata con gli Ordini»” del 28 luglio).

Una coincidenza sfortunata, figlia anche del momento di indiscutibile freddezza che caratterizza i rapporti tra mondo delle imprese e mondo delle professioni, cui faceva cenno proprio ieri sul nostro quotidiano anche Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni (“Stella: «Con le nostre proposte non ci faremo isolare»” di ieri).

Una coincidenza che però mette in luce, come peggio non potrebbe, lo scollamento ormai sempre più preoccupante tra il comparto delle libere professioni e il resto del Paese, oltre a una perdurante tendenza dei vertici degli Ordini a occuparsi in modo autoreferenziale sempre e solo di se stessi.

I primi ad avvertire tutto questo come stonato, tra i liberi professionisti, sono senza dubbio i commercialisti, i cui vertici hanno peraltro scelto di impostare, in questi anni, anche attraverso congressi e pubblicità sulla cui opportunità e proporzionalità si incontrano inevitabilmente le più disparate opinioni, una linea di apertura al Paese e di dialettica generale sui suoi problemi socio-economici.

Una linea che non ha riscontri né nella politica attuale di altre categorie professionali, né in quella passata (e, negli anni d’oro, drammaticamente sonnolenta) della stessa categoria dei commercialisti.

Pur con tutta la stima e il riconoscimento per l’importanza di questa professione, è però impensabile che, dopo nemmeno un pugno d’anni di questo nuovo sentire e comunicare, un documento firmato per tutti gli altri comparti da sigle confederali potesse vedere come invitati alla firma i rappresentanti non già delle professioni, ma di una singola professione.

E questo ci porta al grande bivio che attende i commercialisti, intesi come categoria, nei prossimi anni.

Rimanere nel branco con altri Ordini che parlano una lingua completamente diversa dalla loro, finendo tra l’altro per essere, ogni volta, gli ammortizzatori che incassano per primi i colpi e li attutiscono per gli altri, oppure smarcarsi definitivamente da un mondo con cui condividono evidentemente il passato, ma non l’idea di futuro, con il rischio però di ritrovarsi isolati e a metà del guado, malvisti da chi hanno lasciato e pure da chi, vedendoli arrivare, è disposto ad accoglierci solo se rinunciano alla loro identità?

Tra i tanti e drammatici problemi che affollano la quotidianità di ogni giorno, la natura amletica del quesito strappa un sorriso, ma sarebbe opportuno che chi coltiva l’idea di guidare la categoria nei prossimi anni spiegasse innanzitutto qual è la sua opinione su questa “esistenziale” questione.

Enrico Zanetti
Direttore Eutekne.Info

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