Necessaria una revisione dell’onere fiscale minimo per l’accisa sulle sigarette
La Consulta evidenzia le criticità dell’attuale meccanismo, valutato incompatibile con i principi unionali di concorrenza
Con la sentenza n. 183 del 9 dicembre 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate dal TAR del Lazio sull’art. 39-octies del TUA in materia di onere fiscale minimo, ma evidenzia con chiarezza le criticità dell’attuale meccanismo, valutato incompatibile con i principi unionali di concorrenza.
Nel sistema fiscale dei tabacchi lavorati, la tassazione delle sigarette si fonda su una combinazione di elementi fiscali e regolatori. Tutti i tabacchi sono sottoposti ad accisa, IVA e aggio. Il prezzo di vendita al pubblico non è libero, ma è determinato dal Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli.
Per le sigarette, l’accisa mista si basa su una quota specifica per 1.000 pezzi e una quota ad valorem calcolata sul prezzo di vendita. A queste si aggiungono l’IVA e l’aggio al rivenditore. La somma di accisa e IVA non può però scendere al di sotto di un livello minimo, denominato onere fiscale minimo (OFM), previsto dalla direttiva 2011/64/Ue come presidio contro prezzi eccessivamente bassi che potrebbero incentivare il consumo, soprattutto nelle fasce più vulnerabili.
Dal 2019, per determinare l’OFM, il legislatore italiano utilizza il prezzo medio ponderato (PMP), ovvero il “rapporto [...] tra il valore totale, calcolato con riferimento al prezzo di vendita al minuto comprensivo di tutte le imposte, delle sigarette immesse in consumo nell’anno solare precedente e la quantità totale delle medesime sigarette”, riflettendo, soprattutto, i prezzi dei marchi più venduti.
L’OFM viene successivamente applicato per mezzo di una percentuale molto elevata della somma accisa + IVA calcolata sul PMP (oggi pari al 98,8%). Ne deriva un automatismo: se il PMP cresce, l’OFM cresce di conseguenza, estendendo il vincolo minimo a prodotti più economici.
Ad esempio, se il PMP è pari a 270 euro per kg convenzionale (equivalente a 1.000 sigarette) e l’OFM è fissato al 98,8% delle imposte calcolate sul PMP, l’onere fiscale minimo si posizionerà molto vicino al carico effettivo dei prodotti venduti nella fascia media del mercato. Secondo le evidenze della Consulta, un produttore che commercializza sigarette a un prezzo molto più basso rispetto alla media (ad esempio un pacchetto da 4,20/4,30 euro) può quindi trovarsi a scontare un carico fiscale minimo (accisa + IVA) non proporzionato al suo prezzo reale, quasi allineato al prelievo del pacchetto “medio” e che riduce drasticamente il margine residuo, inducendo ad avvicinare il prezzo verso il livello del PMP.
Questo meccanismo, seguendo la logica della sentenza, non impone lo stesso prezzo di vendita ma tende a comprimere la differenza tra i prezzi, poiché il prodotto economico non può beneficiare della sua minore base imponibile.
Secondo la Consulta, la progressiva convergenza dell’OFM verso il PMP produce un effetto circolare e auto-alimentato: i prezzi più alti della fascia premium innalzano il PMP; l’aumento del PMP innalza l’OFM; l’aumento dell’OFM riduce i margini dei prodotti di fascia bassa, spingendoli a incrementare i prezzi. In un mercato oligopolistico, questo potrebbe risultare condizionante per la concorrenza. Il risultato, osserva la Corte, è sproporzionato rispetto all’obiettivo sanitario dell’OFM e rischia di sbilanciare la tutela della concorrenza, che è parimenti protetta dal legislatore unionale.
Nella decisione, la Corte ha riscostruito il percorso del prelievo minimo in Italia: il prezzo minimo del 2004, dichiarato incompatibile dalla Corte Ue; l’accisa minima del 115%, anch’essa bocciata; il ritorno a un OFM numerico con il DLgs. 188/2014, nonché la trasformazione dell’OFM in una percentuale crescente del PMP dal 2019 al 2025 (95,22% -> 98,80%). È questa ultima configurazione ad aver generato dubbi di compatibilità con i principi unionali. Ciononostante, pur rilevando le criticità, la Consulta ritiene che non le spetti operare una “correzione” del sistema, poiché le soluzioni possibili sono molteplici e dipendono da scelte di politica fiscale.
Le alternative indicate sono due: ritorno a un OFM numerico fissato dalla legge primaria (soluzione verso cui si orienta il Ddl. di bilancio 2026); riduzione significativa della percentuale dell’OFM pur mantenendo il modello indicizzato.
Entrambe le opzioni presentano potenziali punti critici: un OFM fisso rischia di risultare poco reattivo ai cambiamenti del mercato, mentre una semplice riduzione dell’aliquota potrebbe non evitare l’effetto circolare generato dal PMP. Pertanto, pur non modificando la disciplina vigente, la sentenza apre una fase di riflessione sulle strategie di prezzo e sulla governance del mercato.
Infatti, il tema si inserisce nel percorso di revisione del TUA delineato dalla manovra, che mira a rendere più prevedibile la struttura del prelievo e ridurre gli automatismi suscettibili di generare distorsioni. A ciò si aggiunge il contesto unionale: la Commissione ha avviato la revisione della direttiva 2011/64/Ue, con l’obiettivo di ampliare il perimetro armonizzato a categorie oggi disciplinate solo a livello nazionale (tra cui HTP, PLI e altri prodotti non combusti) e di ricalibrare l’intera struttura del prelievo sui tabacchi. Una eventuale nuova direttiva inciderebbe in modo significativo su definizioni, basi imponibili e meccanismi di calcolo del prelievo, imponendo un ulteriore adattamento del TUA. Il quadro che emergerà nei prossimi anni sarà quindi frutto della combinazione tra interventi interni e nuove regole unionali.
La sentenza n. 183/2025 non determina effetti immediati, ma evidenzia la necessità dei player coinvolti di monitorare l’evoluzione normativa che, a tal punto, interverrà anche sui criteri di fissazione dell’onere fiscale minimo.
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