Il legittimario che rinuncia all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni ricevute dal defunto anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto di donazione si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando, però, l’onere di questi ultimi di imputare tali attribuzioni alla quota di legittima nella quale subentrano in forza della rappresentazione. Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza 11 maggio 2023 n. 12813, enunciando un importante e nuovo principio di diritto nell’interesse della legge (art. 363 comma 3 c.p.c.). Il tema esaminato riguarda il caso in cui un soggetto, che ha ricevuto una donazione, rinunci, poi, all’eredità del donante, quando questi muore. In tale ipotesi, nonostante la rinuncia, il donatario può conservare i beni donati, ma non è chiaro quale sia la sorte di tali beni, se la rinuncia fa scattare la rappresentazione (con l’effetto che i figli del rinunciante gli subentrano nella successione del donante). Si ricorda che la rappresentazione (art. 467 c.c.) consente, a determinate condizioni, di far subentrare i discendenti all’erede che non possa, in caso di morte, o non voglia, in caso di rinuncia all’eredità, succedere. Tale istituto trova applicazione ove il soggetto chiamato a succedere per testamento (successione testamentaria) o per legge (successione legittima) sia un discendente, ovvero un fratello o una sorella del defunto. Ad esempio, se Tizio rinuncia all’eredità del defunto padre, che gli spettava per il 50%, i due figli di Tizio, nipoti del defunto, succedono a quest’ultimo, subentrando al padre, per una quota del 25% ciascuno. Ora, la sentenza in oggetto affrontava, però, il più complesso caso in cui il soggetto rappresentato che rinuncia all’eredità (Tizio, nell’esempio proposto), avesse ricevuto dal padre delle donazioni. I ricorrenti, infatti, ritenevano che, in queste ipotesi, i beni donati si trasferissero ai rappresentanti, i quali li dovevano imputare alla legittima ex art. 564 comma 3 c.c. La tesi sostenuta dai ricorrenti si basa su una lettura del combinato disposto degli artt. 521 comma 2, 552 e 564 c.c. che, alla fine, non viene condivisa dalla Suprema Corte. L’art. 521 comma 2 c.c. sancisce che la rinuncia all’eredità non travolge anche le donazioni che il rinunciante abbia ricevuto in vita dal defunto, in quanto egli le può ritenere “sino alla concorrenza della porzione disponibile, salve le disposizioni degli articoli 551 e 552”. L’art. 552 c.c., in particolare, dispone: “Il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest’ultimo”. La Cassazione ricorda che, secondo la prevalente dottrina, questa norma intende sanzionare l’erede legittimario che, avendo già ricevuto delle donazioni in vita, decida di rinunciare all’eredità, posto che potenzialmente determina un aggravio della posizione degli altri legittimari. La rinuncia all’eredità di un legittimario, infatti, può ampliare la quota di legittima degli altri legittimari e, quindi, ridurre la quota disponibile, su, cui, però, verrebbero a gravare le donazioni a favore di chi ha rinunciato, ex art. 521 c.c. Il problema è però comprendere come incida, su questa norma, la rappresentazione, in forza della quale al legittimario/donatario/rinunciante sono subentrati, nell’eredità, i figli. Letteralmente, l’art. 552 comma 1 c.c. opera “quando non si ha rappresentazione”, ma il significato di questo inciso è stato interpretato in modi differenti dalla dottrina. Secondo la tesi accolta dai ricorrenti, significherebbe che, in tal caso, i beni ricevuti per donazione dal legittimario che rinuncia (rappresentato) si trasmetterebbero ai discendenti che gli subentrano nell’eredità per rappresentazione. La Corte di Cassazione accoglie, invece, la diversa tesi (sostenuta dalla dottrina prevalente), secondo cui quell’inciso comporta che, quando opera la rappresentazione, le donazioni fatte a favore del legittimario che ha rinunciato (e che le ha legittimamente conservate) non gravano sulla disponibile (come avviene in assenza di rappresentazione), bensì tornano a gravare sulla legittima, nella quale sono subentrati i rappresentanti che, per effetto dell’art. 564 comma 3, sono tenuti a procedere all’imputazione. Il fatto che, in base a tale ultima norma, i rappresentanti debbano imputare alla legittima beni (ricevuti in donazione dal genitore) che essi non hanno materialmente ricevuto – aggiunge la Corte – non determina alcuna iniquità, in quanto la rappresentazione opera per stirpi (art. 469 c.c.), sicché alla stirpe non può essere attribuito più di quanto spettasse al capostipite. Al contrario, la disposizione tutela gli altri legittimari, che, invece, potrebbero essere lesi ove il donatario rinunciante ritenesse le donazioni e i suoi discendenti, subentrati per rappresentazione, potessero pretendere l’intera sua quota di legittima, senza tenere conto delle donazioni da lui ricevute.
15 maggio 2023
/ Anita MAURO