Il Tribunale di Napoli, nell’interessante sentenza n. 7429/2022, ha esaminato la responsabilità del socio unico, prima amministratore e poi liquidatore, di una srl fallita alla luce delle novità apportate dal DLgs. 14/2019 (c.d. Codice della crisi d’impresa). Si ricorda, innanzitutto, come, ai sensi dell’art. 2476 comma 1 c.c., gli amministratori di srl rispondano verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c., sulla responsabilità degli amministratori della spa, applicabile, ex art. 12 disp. prel. c.c., anche alle srl. Analoghe indicazioni valgono per i liquidatori, dal momento che la loro responsabilità è disciplinata dai medesimi principi dettati per gli amministratori in forza dell’espresso richiamo operato dall’art. 2489 comma 2 c.c. Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non siano puntualmente indicati dalla legge, osserva la decisione in commento, è possibile configurare un generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori (in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum), sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, parametrando la propria attività ai canoni della corretta amministrazione. Quanto, poi, alla quantificazione del danno, sono chiaramente da considerare le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguano altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo. Ma nella quantificazione del danno procurato alla società potrebbero giocare un ruolo anche condotte omissive attinenti alla contabilità sociale. Prima di chiarire tali affermazioni, peraltro, si ricorda come l’azione di responsabilità intentata dal curatore fallimentare, ex art. 146 del RD 267/42, cumuli in sé sia l’azione sociale di responsabilità – che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (art. 2476 comma 3 c.c., per le srl) – sia l’azione che, ai sensi dell’art. 2394 c.c. (art. 2476 comma 6 c.c., per le srl), sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice. L’azione sociale di responsabilità presenta natura contrattuale e, dunque, dal punto di vista della ripartizione dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio – sia per l’adempimento del contratto, sia per la risoluzione e il risarcimento del danno – deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento del gestore, che, di contro, ha l’onere contrastare lo specifico addebito fornendo la prova dell’esatto adempimento. Peraltro, la mancata consegna delle scritture contabili, il mancato deposito per diversi anni (sei, nel caso di specie) del bilancio di esercizio e la dispersione dell’attivo indicato nell’ultimo bilancio depositato rispetto a quello in concreto rinvenuto dal curatore al momento del fallimento sono circostanze che legittimano la quantificazione del danno ricorrendo al criterio equitativo del deficit (sbilancio) fallimentare, non permettendo l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore. In tale contesto la modifica operata all’art. 2486 c.c. dal DLgs. 14/2019, recependo le indicazioni di un indirizzo giurisprudenziale già esistente, ha introdotto nel sistema una presunzione semplice, con riferimento alla quantificazione del danno secondo il criterio dei “netti patrimoniali”, e una presunzione assoluta, con riguardo all’adozione del criterio residuale della differenza tra attivo e passivo fallimentare (c.d. criterio del “deficit fallimentare”), quando non sia possibile determinare i netti patrimoniali per mancanza o irregolarità delle scritture contabili. Nella specie, quindi, le circostanze sopra evidenziate hanno indotto il Tribunale a liquidare il danno non, come richiesto il via prioritaria, nell’attivo risultante dall’ultimo bilancio depositato (attivo non “trovato” dal curatore), ma nel minore importo del deficit fallimentare; ciò in quanto la società ben avrebbe potuto continuare ad essere in bonis per alcuni anni successivi all’ultimo che aveva trovato riscontro in bilancio. Nel caso esaminato, infine, il deficit fallimentare viene imputato, quasi nella sua interezza, a colui che era stato amministratore e liquidatore della srl fallita anche perché maturato in un periodo in cui, pur essendo divenuto unico socio della srl, non aveva provveduto a dare adeguata pubblicità a tale situazione, così integrando anche il presupposto della responsabilità illimitata (sanzionatoria) di cui agli artt. 2462 comma 2 e 2470 comma 4 c.c.
5 giugno 2023
/ Maurizio MEOLI