L’illegale ripartizione di utili presenta un incerto rischio penale
/ Maurizio MEOLI
L’inosservanza delle condizioni richieste dalla legge per la distribuzione degli utili determina non solo la nullità della relativa delibera per illiceità dell’oggetto, ma può anche dar luogo a responsabilità civilistica o penale. Relativamente a quest’ultimo profilo, si ricorda che, ai sensi dell’art. 2627 comma 1 c.c., “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno”. Sono numerosi i dubbi correlati a questa (in verità poco contestata) fattispecie contravvenzionale. Soggetti attivi sono esclusivamente gli amministratori. Si tratta, pertanto, di un reato proprio. Agli amministratori sono, comunque, equiparati coloro i quali:
- sono tenuti a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata (ad esempio, i componenti del Consiglio di gestione nell’ambito del sistema dualistico di amministrazione e controllo);
- esercitano in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (ovvero gli amministratori di fatto). Non sono, invece, presi in considerazione i liquidatori, dal momento che la società in tale fase non distribuisce utili, e i sindaci, probabilmente per l’assenza di un loro ruolo specifico nella procedura di distribuzione; non appare, tuttavia, da escludere un loro eventuale concorso omissivo in ragione della posizione di garanzia fondata sull’art. 2407 c.c. Sempre ai fini di un eventuale concorso secondo le regole ordinarie, inoltre, è necessario valutare la posizione dei soci (o degli ulteriori soggetti) che abbiano percepito gli utili. Da questo punto di vista, quindi, si presenta di particolare interesse quanto disposto dal secondo comma dell’art. 2627 c.c. Si afferma, infatti, che la restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio estingue il reato. È dubbio se ci si trovi in presenza di una causa di estinzione del reato o di una causa sopravvenuta di non punibilità, stante la connessione tra il beneficio dell’esenzione da pena e la riparazione dell’offesa, laddove le cause di estinzione in senso stretto rispondono a ragioni estranee alla condotta del reo. Ad ogni modo, si tratta, nella sostanza, di un ravvedimento operoso che diviene causa di estinzione/causa sopravvenuta di non punibilità del reato ove intervenga prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio. La previsione di questo termine è criticata da una parte della dottrina per il fatto di creare una zona libera dal rischio penale per ogni esercizio fino al termine massimo di approvazione del bilancio ordinario (120 o 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio, a seconda delle circostanze). Ma esso, in concreto, sembra destare maggiori perplessità in senso opposto, dal momento che, normalmente, si provvede alla distribuzione di utili con l’approvazione del bilancio in prossimità della scadenza di legge, rendendo la non punibilità, di fatto, non praticabile. Con riguardo alla ricostituzione delle riserve, poi, non è chiaro con quali somme si debba operare. Si potrebbe, infatti, anche pensare ad una manovra di bilancio, posta in essere dagli amministratori, che, utilizzando somme disponibili del patrimonio sociale, ricostituiscano le riserve illecitamente diminuite. Perplessità sono correlate anche al fatto che la restituzione è un’azione del beneficiario e non (necessariamente) dell’amministratore. Da questo punto di vista, allora, si è osservato come la restituzione (integrale) dovrebbe presentare valenza “oggettiva” ex art. 119 comma 2 c.p., rilevando a prescindere dal soggetto che in concreto vi abbia provveduto, che, secondo taluni, potrebbe anche essere un terzo. A quest’ultimo riguardo, peraltro, occorre segnalare come la Suprema Corte, nella sentenza n. 20210/2023, sia pure con riguardo alla causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter c.p. – prevista, nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, per chi abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato e ne abbia eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose – abbia affermato che ha natura soggettiva e, pertanto, l’estinzione del reato ha effetto, ai sensi dell’art. 182 c.p., nei soli confronti di colui al quale la causa estintiva si riferisce, non estendendosi ai correi. Da segnalare, infine, il difficile rapporto tra questa fattispecie e quella, più grave (perché delittuosa e priva di una causa di estinzione), di indebita restituzione dei conferimenti di cui all’art. 2626 c.c. Se, da un lato, l’art. 2627 c.c., sostanziandosi in una peculiare forma di indebita restituzione dei conferimenti, dovrebbe applicarsi in ragione del principio di specialità, dall’altro, dovrebbe lasciar posto al delitto di cui all’art. 2626 c.c. in ragione della clausola di riserva che ne esclude l’applicazione quando il fatto costituisca più grave reato.