Scelta del luogo per la conciliazione in sede protetta con approccio prudente
/ Federico ANDREOZZI
Una recente sentenza del Tribunale di Pescara (la n. 454/2025) ha stabilito che la sede del commercialista dell’impresa non può essere considerata una sede protetta ai sensi dell’art. 411 comma 3 c.p.c., mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore. Al tempo stesso, con la sentenza n. 4029/2025, il Tribunale di Catania, richiamando un proprio precedente, ha affermato l’inoppugnabilità di una conciliazione in sede protetta che ha avuto luogo presso la sede del consulente del lavoro dell’impresa poiché “tale luogo, pur non coincidendo all’evidenza con la sede di un sindacato, non può del pari essere assimilato alla sede della società [...], in quanto il consulente del lavoro della società risulta essere un soggetto terzo estraneo alla datrice di lavoro, non incardinato stabilmente nella struttura aziendale e ad essa non legato da un rapporto dipendente” (cfr. Trib. Catania n. 2618/2025). È evidente come il rilievo conferito dal recente orientamento della Corte di Cassazione al luogo in cui si svolge la conciliazione stia suscitando le pronunce più disparate, con la conseguente difficoltà a orientarsi nell’ambito di queste interpretazioni. Partendo dal dato normativo, si ricorda che l’art. 2113 c.c. dispone l’invalidità delle rinunce e delle transazioni aventi a oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. Il quarto comma dell’art. 2113 c.c., tuttavia, esclude il divieto, legittimando le rinunce e le transazioni nel caso in cui siano oggetto di conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater c.p.c. In dette ipotesi, la rinuncia e la transazione sono immediatamente valide ed efficaci, in forza della tutela garantita al lavoratore dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi c.d. protette, nel cui novero rientra la sede sindacale. Ed è qui che interviene il recente orientamento della Cassazione che, oltre ad affermare la centralità della presenza di un rappresentate sindacale e della sua conseguente assistenza – che deve essere effettiva, tale da consentire al dipendente di esprimere un consenso informato e consapevole – attribuisce rilievo anche al luogo in cui l’accordo viene siglato. Per la Corte si tratta, infatti, di “concomitanti accorgimenti necessari” per garantire, da un lato, la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e, dall’altro, l’assenza di condizionamenti di ogni genere. I giudici di legittimità hanno chiarito che, seppur alla presenza di un rappresentante sindacale, la sottoscrizione del verbale di conciliazione presso la sede dell’impresa non soddisfa requisiti normativamente previsti per la validità delle rinunce e delle transazioni in base agli artt. 411 comma 3 c.p.c. e 2113 comma 4 c.c. La sede aziendale, quindi, non può essere annoverata tra le sedi protette, “mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire”, con l’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, “la libera determinazione della volontà del lavoratore”. Richiamando ancora una volta le parole della Cassazione, “i luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, [...] in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza della controparte datoriale” (cfr. Cass. nn. 9286/2025 e 10065/2024). Ciò detto, si aprono altrettante numerose prospettive, come si può evincere dalle pronunce di merito sopra menzionate. Se, infatti, la sede aziendale non è ritenuta un luogo idoneo, non può dirsi altrettanto pacifico che non lo siano le sedi dei professionisti a cui si rivolge l’azienda, quali, ad esempio, il consulente del lavoro, il commercialista o anche l’avvocato. È quindi necessario fare un passaggio ulteriore. L’orientamento analizzato non sembra negare l’idoneità della sede aziendale a costituire una sede protetta per il fatto stesso di essere il luogo in cui ha sede il datore, ma lo fa focalizzandosi su una specifica caratteristica: l’assenza di neutralità; per la Corte, solo un ambiente neutro può garantire, unitamente agli altri elementi anzidetti, la libera e consapevole formazione – e manifestazione – della volontà del lavoratore. Ecco dunque come, pur essendo vero che, secondo quanto affermato dal Tribunale di Catania, la sede del consulente del lavoro dell’azienda non coincida con quella della società, non può affermarsi con altrettanta certezza che lo stesso non abbia alcun rapporto con l’impresa e che, quindi, sia un ambiente estraneo all’influenza datoriale. In conclusione, l’approccio più prudente potrebbe essere quello rappresentato dalla scelta di un luogo – quale è la sede del sindacato o quella dell’associazione datoriale cui l’azienda è iscritta – che sia effettivamente neutro, che non coincida, quindi, con la sede di alcuno dei professionisti che, a vario titolo, seguono l’impresa.