Finisce in sostanziale parità il contenzioso avviato dieci anni or sono dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del gruppo Dolce & Gabbana a seguito della ripresa a tassazione di alcune fees corrisposte da una delle società italiane del gruppo a un’altra, residente negli Stati Uniti. In estrema sintesi, si conferma con la sentenza di Cassazione n. 2599/2023 che in questi casi i costi sostenuti dalla società italiana sono deducibili, in quanto inerenti, ove sussista un vantaggio o utilità per il percipiente, avallando quanto sostenuto dall’Amministrazione; vi sono, però, aperture sulla deducibilità dei mark up previsti contrattualmente, negata dalle Commissioni di merito e per la quale la Suprema Corte ha invece espresso un giudizio di cassazione con rinvio. Nella causa erano presenti tre parti: DG srl, italiana, licenziataria del marchio Dolce & Gabbana, DG Industria, italiana, incaricata di produrre, distribuire e vendere i prodotti Dolce & Gabbana in tutto il mondo, e DG USA, americana, incaricata di svolgere servizi di promozione e marketing negli Stati Uniti. I rapporti con la società statunitense vedono:
- da un lato, un service agreement, con cui DG USA svolge i servizi di promozione e marketing a favore di DG srl dietro il pagamento di royalties, basate sui costi analiticamente imputabili ai servizi resi, oltre a un mark up variabile;
- dall’altro lato, un supply agreement, con cui DG Industria ha nominato DG USA distributore esclusivo, a fronte del quale DG srl riconosce un contributo per il servizio in relazione ai costi eccedenti una determinata percentuale del fatturato. L’Agenzia delle Entrate aveva mosso contestazioni (confermate in entrambi i gradi di giudizio):
- sia per il service agreement, eccependo essenzialmente il difetto di inerenza delle royalties, in quanto i costi sostenuti per incrementare le vendite non avrebbero una sufficiente correlazione con l’attività di DG srl (licenziataria, e non proprietaria, del marchio Dolce & Gabbana) e il mark up convenuto andava anche a vantaggio della consociata DG Industria, rivenditrice;
- sia per il supply agreement, anche in questo caso per il fatto che DG srl non era proprietaria del marchio. La Cassazione, nelle motivazioni alla sentenza, ribadisce che inerenza e congruità dei costi si collocano su piani distinti, il primo necessariamente antecedente all’altro. L’inerenza, pertanto, non comporta alcuna valutazione in termini di beneficio diretto, in quanto è configurabile come costo deducibile anche ciò che non reca alcun vantaggio economico; la nozione di inerenza, inoltre, va distinta da quella di congruità del costo, anche se l’antieconomicità dell’operazione può essere indice del difetto di inerenza. Nei rapporti infragruppo, a ogni modo, la società beneficiaria dei pagamenti deve trarre dal servizio remunerato un’effettiva utilità, la quale deve essere oggettivamente determinabile e adeguatamente documentata, “anche se a questi costi non corrispondano direttamente ricavi in senso stretto”. Si conferma anche quella parte dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, sempre nell’ambito dei rapporti infragruppo, non è sufficiente l’esibizione del contratto da cui risulta la quantificazione dei corrispettivi pattuiti, essendo al contrario necessaria “la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio”. Ciò ha portato alla conferma dell’indeducibilità di parte dei costi sostenuti: la Cassazione, sulla scorta del giudizio di secondo grado, ha ritenuto che DG USA svolgesse anche attività a beneficio di DG industria, e non solo attività a beneficio di DG srl; sono stati considerati irrilevanti a tali fini un parere ottenuto dalla società e la certificazione rilasciata da una società di revisione statunitense. Per quanto riguarda i mark up, invece, il giudizio di secondo grado è stato rettificato. In quest’ultimo era stata riconosciuta la presenza di un accordo di ripartizione dei costi (cost sharing agreement) in cui una parte dei riaddebiti avrebbe dovuto andare a vantaggio di DG Industria. Nel caso specifico – evidenzia la Cassazione – si dovrebbe però inquadrare il contratto alla luce di quanto dedotto dalle parti per poi verificare se questi mark up potessero risultare esclusi sulla base della natura della prestazione eseguita e del suo rapporto con l’attività della società erogante (alla luce, chiaramente, dei vincoli posti dalla normativa sui prezzi di trasferimento). Considerazioni similari hanno caratterizzato il supply agreement: la Cassazione ha confermato che i costi per il supporto pubblicitario possono rivestire carattere di inerenza per DG srl in quanto quest’ultima, pur se “mera” licenziataria del marchio, comunque riceve un beneficio dalla pubblicità, la quale accresce il valore del marchio medesimo: viene quindi escluso che le maggiori royalties debbano necessariamente andare a vantaggio del titolare diretto del marchio, estraneo nel caso di specie al contenzioso.
28 gennaio 2023
/ Gianluca ODETTO