Integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. Tale è il principio che è stato a suo tempo stabilito dalle Sezioni Unite penali nella sentenza n. 11545/2012 e che è stato più volte ripreso dalla giurisprudenza successiva (cfr., tra le altre, Cass. n. 33464/2018). Con espresso riferimento alla professione di dottore commercialista, le stesse Sezioni Unite hanno precisato che la specifica inclusione delle attività di tenuta e redazione dei libri contabili, fiscali e del lavoro, e di elaborazione e predisposizione delle dichiarazioni tributarie e cura degli ulteriori adempimenti tributari, nell’elenco di quelle riconosciute di competenza tecnica degli iscritti alla sezione B (dell’attuale legge di disciplina della professione, il DLgs. 139/2005) consente di ritenere che lo svolgimento di esse, se effettuato da soggetto non abilitato con modalità tali da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse dallo stesso provenienti, le apparenze dell’attività professionale svolta da esperto contabile regolarmente abilitato, è punibile a norma del citato art. 348 c.p. Fa applicazione di tali insegnamenti la sentenza n. 33866, depositata ieri dalla Cassazione penale. In tale procedimento un soggetto, oltre ad essersi presentato come professionista iscritto all’Albo, non si era affatto limitato a presentare le periodiche dichiarazioni fiscali ma aveva prestato un’opera professionale ben più complessa, tenendo, per anni, la contabilità e curando, anche avvalendosi di altro professionista di sua diretta fiducia, gli adempimenti relativi ai rapporti di lavoro dipendente instaurati dalla titolare di un’agenzia di viaggi. Costui gestiva, inoltre, le stesse dichiarazioni fiscali in piena autonomia, inviando alla persona offesa delle mere bozze, diverse dagli originali che poi aveva, negli anni, effettivamente presentato. Ed ancora, nell’ultimo periodo, evidentemente temendo gli esiti di una verifica fiscale, aveva presentato, sempre del tutto autonomamente delle dichiarazioni integrative. In particolare, dagli accertamenti svolti nel corso del giudizio di merito, era emerso che quando l’Agenzia delle Entrate aveva intrapreso a carico della società che gestiva l’agenzia di viaggi una verifica, la titolare era venuta a conoscenza del fatto che le dichiarazioni presentate a suo nome non erano regolari e che questi aveva anche acceso, a suo nome, un “cassetto fiscale”, che gli era servito per la presentazione delle dichiarazioni ed anche, senza che lei stessa fosse avvertita, per la presentazione, nel corso della verifica, di alcune dichiarazioni integrative. Peraltro, quando, iniziata la verifica, aveva chiesto al sedicente professionista l’invio della documentazione rimasta a sue mani, nulla le era stato consegnato e questi si era reso irreperibile. Ulteriore elemento emerso era il fatto che il “cassetto fiscale” era stato attivato grazie ad un delega scritta che recava la sottoscrizione della cliente, che era però palesemente falsa. A fronte di tutto ciò, la Cassazione non solo conferma la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione (alla luce dei principi sopra riportati), ma ritiene altresì possibile il concorso con i reati di truffa (sebbene prescritto) e di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (rispettivamente artt. 640 e 615-ter c.p.). Per quanto riguarda i rapporti della truffa con l’esercizio abusivo della professione, la sentenza in esame precisa che i due reati tutelano beni giuridici diversi, perciò non può affermarsi che fra i medesimi sussista il rapporto di specialità di cui all’art. 15 c.p., richiedendo la truffa non solo l’esistenza di artifici e raggiri ma anche gli ulteriori elementi essenziali costituiti dall’induzione in errore e dall’atto di disposizione patrimoniale. Con riferimento al reato informatico, viene invece precisato che l’incarico di curare la contabilità e di presentare le dichiarazioni fiscali, non può sostituire la delega espressa all’apertura del “cassetto fiscale”.
16 ottobre 2025
/ Maria Francesca ARTUSI