Con l’ordinanza n. 1216, depositata ieri, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli eredi del socio di snc non subentrano mortis causa e senza soluzione di continuità nella quota di partecipazione del defunto, pertanto, pur avendo proseguito la società con i soci superstiti per atto inter vivos, non possono riportare nella propria dichiarazione dei redditi la quota parte delle perdite deducibili dal de cuius. Nel caso di specie, gli eredi del socio di snc presentavano la dichiarazione di successione e la dichiarazione dei redditi, evidenziando le perdite fiscali, relative all’attività d’impresa, maturate dal de cuius negli anni antecedenti il decesso (art. 8 del TUIR). In sede di propria dichiarazione dei redditi, gli eredi riportavano la quota parte delle perdite deducibili dal de cuius, successivamente disconosciute dall’Agenzia delle Entrate. La quota di partecipazione della società facente capo al defunto veniva successivamente devoluta agli eredi, i quali, con il consenso dei soci superstiti e la modifica dei patti sociali della snc, subentravano nella quota del de cuius. La Suprema Corte è chiamata, quindi, ad accertare se gli eredi, dopo avere aderito alla proposta di continuazione dei soci superstiti (tramite atto inter vivos), possano sostituirsi al dante causa, subentrando nella medesima quota di partecipazione di quest’ultimo e senza soluzione di continuità temporale tra il momento della morte (l’apertura della successione) e la successiva manifestazione di consenso alla continuazione della società da parte degli stessi. Ai sensi dell’art. 2284 c.c., in caso di morte di uno dei soci, i superstiti, salva diversa disposizione del contratto sociale, devono liquidare la quota agli eredi del defunto, ove non decidano di sciogliere la società (con determinazione delle spettanze per gli eredi secondo l’ordinaria procedura di liquidazione della società), ovvero continuarla con gli eredi, se consenzienti, mediante un accordo di continuazione. L’intuitus personae che connota il vincolo sociale nelle società di persone, tuttavia, determina che, sin dall’apertura della successione, gli eredi del socio defunto assumano solo le vesti di creditori. La morte del socio, infatti, non implica la trasmissione della partecipazione agli eredi, ma la trasformazione ope legis della quota in un credito pecuniario degli eredi verso la società, che deve essere pagato dai soci superstiti entro sei mesi dalla morte del dante causa. La liquidazione è compiuta in base alla situazione patrimoniale della società al momento in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale, dovendosi tenere conto degli utili e delle perdite relative alle operazioni in corso (art. 2289 c.c.). La giurisprudenza ha, altresì, escluso che, nel caso di morte di uno dei soci, si realizzi un fenomeno di divisione del patrimonio sociale, che resta, invece, immutato, sorgendo a carico della società solo l’obbligo di corrispondere il valore della quota (Cass. n. 5809/2001). Poiché il rapporto sociale non è trasmissibile mortis causa (Cass. n. 3671/2001), l’accettazione dell’eredità determina per gli eredi non l’acquisto della qualità di socio, ma solo il diritto alla liquidazione della proporzionale quota di partecipazione sociale, il cui valore entrerà a far parte del patrimonio ereditario. Né l’accordo di continuazione della società tra i soci superstiti e gli eredi del socio defunto determina l’insorgere di una successione mortis causa, facendo rivivere ex post un vincolo sociale che dovrà ritenersi estinto con il decesso. L’accordo di continuazione con gli eredi, invece, determina una modifica del contratto sociale. L’erede, quindi, diventa socio non iure successionis, ma tramite un atto inter vivos (tra gli altri, cfr. ris. n. 157/2008). Muovendo da tali considerazioni, la Suprema Corte – a quanto consta, non si rinvengono precedenti sul tema – ha escluso che gli eredi del socio di snc possano dedurre pro quota, in sede di propria dichiarazione dei redditi, le perdite di competenza del de cuius derivanti dalla partecipazione in società, non assumendo la qualità di soci iure successionis. La modifica soggettiva del contratto sociale, in vista della continuazione della società, peraltro, non assume efficacia retroattiva. La soluzione alla quale giunge la Suprema Corte può condividersi se confinata all’ipotesi di trasmissibilità del vincolo sociale nelle società semplici, nelle snc e nelle sas ma limitatamente alla quota dell’accomandatario. A diverse conclusioni, invece, dovrebbe potersi giungersi per la quota dell’accomandante, la cui trasmissibilità mortis causa è espressamente consentita ex art. 2322 c.c., determinando l’acquisto automatico dello “status soci” (Cass. n. 12906/95) Si ricorda, infine che, fermo il divieto dei patti successori, la possibilità, nelle società di persone, di pattuire clausole di continuazione automatica con gli eredi del socio defunto, a prescindere da una manifestazione di volontà di questi ultimi, è un tema tradizionalmente discusso in dottrina e in giurisprudenza. L’erede, infatti, si vedrebbe costretto o ad accettare l’eredità e ad assumere automaticamente la responsabilità illimitata, o a rinunciare in toto.
22 gennaio 2021
/ Massimo NEGRO e Antonio NICOTRA