Appello legittimo contro la sentenza che «accoglie» la mediazione
Si tratta di una ordinaria situazione di soccombenza parziale
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 12770/2025 affronta una questione di rilievo nel sistema del contenzioso tributario: la possibilità per il contribuente di proporre appello anche quando la decisione di primo grado abbia accolto il ricorso nei termini proposti in sede di mediazione. Si tratta di un chiarimento interpretativo di particolare importanza, destinato a incidere significativamente sulla prassi applicativa e sulla comprensione dei limiti e delle potenzialità dello strumento della mediazione fiscale.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da due contribuenti avverso alcuni avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate, con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva contestato la natura elusiva di una serie di operazioni societarie. In via preliminare, i contribuenti avevano attivato la procedura di mediazione fiscale ex art. 17-bis del DLgs. n. 546/1992, istituto allora vigente, finalizzato alla deflazione del contenzioso e al raggiungimento di soluzioni conciliative tra Fisco e contribuente.
È opportuno ricordare che l’art. 17-bis è stato abrogato con il DLgs. 30 dicembre 2023 n. 220 (in vigore dal 4 gennaio 2024), nell’ambito della riforma organica del processo tributario. La soppressione dell’istituto si inserisce in un più ampio disegno di semplificazione degli strumenti deflattivi del contenzioso. Nonostante ciò, la sentenza in commento mantiene un interesse attuale per tutti i procedimenti pendenti ai quali la disciplina della mediazione continua ad applicarsi ratione temporis.
In seguito all’esito negativo della mediazione, il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso nei termini corrispondenti alla proposta formulata in sede di mediazione. I contribuenti, tuttavia, ritenendo che tale esito non rappresentasse il miglior risultato conseguibile, avevano proposto appello, auspicando una decisione più favorevole.
La questione posta all’attenzione della Suprema Corte concerneva, dunque, la legittimità dell’appello proposto dal contribuente a fronte di una sentenza di primo grado conforme alla proposta di mediazione. La Cassazione ha confermato la piena ammissibilità di tale impugnazione, riaffermando il principio per cui la mediazione costituisce uno strumento alternativo di risoluzione della controversia e non un limite all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale.
Secondo la Corte, infatti, l’accoglimento del ricorso nei limiti della proposta di mediazione non preclude al contribuente la possibilità di proporre appello, salvo il caso in cui quest’ultimo abbia espressamente vincolato la propria pretesa al contenuto della proposta stessa, rinunciando in modo chiaro e inequivoco a ulteriori rivendicazioni. In assenza di una tale rinuncia espressa, permane il diritto del contribuente a ottenere una decisione giudiziaria potenzialmente più favorevole.
Tale impostazione si fonda su una lettura sistematica dell’art. 17-bis e sul principio costituzionale del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), che non può essere limitato da strumenti alternativi o deflattivi se non nei casi espressamente previsti dalla legge e in presenza di una volontà inequivoca del soggetto interessato.
La sentenza n. 12770/2025 della Cassazione offre un importante chiarimento interpretativo riguardo alla possibilità per il contribuente di proporre appello anche quando la decisione del giudice sia conforme alla proposta di mediazione. Sebbene l’istituto della mediazione tributaria sia stato abrogato a partire dal 4 gennaio 2024, la pronuncia mantiene piena rilevanza per i procedimenti ancora pendenti cui la disciplina abrogata continua ad applicarsi.
La Corte ha riaffermato il principio costituzionale del diritto alla tutela giurisdizionale, evidenziando come la mediazione – pur essendo un meccanismo alternativo – non possa impedire l’accesso alla giurisdizione, a meno che il contribuente non abbia espressamente e inequivocabilmente rinunciato a farlo. Il contenuto della decisione si inserisce così in un quadro giurisprudenziale che valorizza il ruolo del processo nel garantire una tutela piena, effettiva e non surrogabile da strumenti deflattivi.
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