ACCEDI
Lunedì, 30 giugno 2025 - Aggiornato alle 6.00

IMPRESA

Responsabilità amministrativa di amministratori di banche senza prova di dolo

Ricade sul componente del CdA provare la mancanza di colpevolezza

/ Maurizio MEOLI

Lunedì, 30 giugno 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

Le ordinanze nn. 15529, 15530 e 15531 del 2025 della Cassazione hanno recentemente confermato le sanzioni amministrative comminate nei confronti di tre amministratori privi di deleghe di una banca per la mancanza, nei c.d. prospetti di base, delle informazioni relative alla sussistenza, all’entità e agli effetti dei finanziamenti erogati alla clientela per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni della banca stessa, così precludendo agli investitoti la possibilità di acquisire notizie utili per ottenere un fondato giudizio sulla reale situazione dell’istituto di credito.

Si afferma, infatti, che il dovere di agire informati di questi consiglieri, sancito dagli artt. 2381 commi 3 e 6 e 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, dal momento che anch’essi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario.

Inoltre, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dal CdA, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un’efficace gestione dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi. Ciò non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al CdA, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega.

Seguire questa interpretazione – afferma la Suprema Corte – non equivale a far ricadere sugli amministratori non esecutivi una responsabilità oggettiva, essendo questi perseguibili ove ricorrano le seguenti condizioni: la condotta d’inerzia; il fatto pregiudizievole antidoveroso; il nesso causale tra l’una e l’altro; la colpa, consistente nel non aver rilevato (colposamente) i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose), e, quindi, nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento.

Ciò, sotto il profilo probatorio, comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità (l’Autorità di vigilanza) allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del CdA al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste scritte all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazioni ex art. 2391 c.c., la segnalazione al PM o all’Autorità di vigilanza). Di contro, è onere degli amministratori privi di deleghe provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna che abbia reso non percepibili quei segnali d’allarme rilevati dall’Autorità di vigilanza o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno.

In pratica, in caso di irrogazione di sanzioni amministrative – quali quelle previste per l’inosservanza degli artt. 94 e 191 del DLgs. 58/98 – l’Autorità di vigilanza, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha solo l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno.

Il legislatore, infatti, individua una serie di fattispecie destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, attiva od omissiva.
Si ricollega, per tal via, il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine all’accertamento della suitas (ossia dell’appartenenza all’amministratore) del comportamento inosservante. Con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’Autorità di vigilanza la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della L. 689/81, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza.

In pratica, sebbene l’onere di provare i fatti integrativi della violazione sia posto a carico dell’Autorità di vigilanza – che, quindi, deve fornire la prova della condotta illecita – in caso di illecito omissivo, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la prova dell’elemento oggettivo dell’illecito, comprensivo della suitas della condotta illecita, in assenza di elementi da cui desumere l’inesigibilità della condotta osservante o l’imprevedibilità dell’evento.

Così intesa, conclude la Cassazione, la presunzione di colpa non si porrebbe in contrasto con gli artt. 6 della CEDU e 27 Cost. Ciò, peraltro, varrebbe non solo con riguardo alle violazioni realmente amministrative, ma anche per quelle formalmente tali ma che, per la loro afflittività, sono considerate sostanzialmente penali.

TORNA SU