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IMPRESA

Piano liquidatorio incompatibile nella composizione negoziata

Risanamento dell’impresa con ripristino dell’equilibrio o prosecuzione dell’attività

/ Antonio NICOTRA

Lunedì, 30 giugno 2025

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La composizione negoziata non è compatibile con un piano liquidatorio che preveda la cessazione definitiva dell’attività e la dismissione disgregata degli assets aziendali, neppure nell’ipotesi in cui tale opzione comporti una proposta migliorativa per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria giudiziale. A tale conclusione giunge il Tribunale di Bologna 30 aprile 2025.

Ai sensi dell’art. 12 comma 1 del DLgs. 14/2019 (CCII), l’imprenditore può accedere alla stessa se versa in condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, di crisi o di insolvenza (purché reversibile) e “risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”.

Per “risanamento dell’impresa” si intende il ripristino di un equilibrio economico finanziario che si attaglia all’impresa in funzionamento (o che si propone di riprendere ad operare come tale).

Pertanto, lo scopo della composizione è la possibilità di prosecuzione dell’attività, da parte dello stesso debitore o di un terzo nelle forme della c.d. continuità indiretta, resa possibile con le iniziative dell’imprenditore programmate al superamento dello squilibrio.
Come rilevato anche in giurisprudenza, la ristrutturazione dei debiti è un passaggio necessario per il risanamento e, a tal fine, le iniziative suddette illustrate nel piano ex art. 19 comma 2 lett. d) del CCII, devono prospettare la possibilità di proseguire l’attività anche eventualmente in capo ai terzi per effetto della cessione dell’azienda, non potendo invece rappresentare la mera liquidazione dei beni l’unica finalità della composizione (Trib. Verona 10 marzo 2025). Sempre secondo tale giurisprudenza, la continuazione dell’impresa è data da altri indici normativi come la predisposizione di un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative volte ad un risanamento, nonché la redazione del piano secondo la lista di controllo di cui all’art. 13 comma 2 del CCII e DM 21 marzo 2023 (punti 1, 2.8 e 3). Pertanto, l’imprenditore deve elaborare un piano industriale di risanamento e non di mera dismissione dei beni finalizzato ad una soddisfazione parziale dei creditori.

Il quadro normativo rende evidente che l’accesso al percorso deve essere compiuto da un imprenditore che, anche se insolvente, sia in grado di tentare, attraverso un piano e la trattativa con i creditori, il risanamento dell’impresa anche mediante terzi se risulti necessario ex art. 12 comma 2 del CCII.

Da ciò consegue l’esclusione dalla composizione per i soggetti non in grado di prospettare un proprio riassetto.
In tal senso si pongono anche le misure protettive nonché l’obbligo dell’imprenditore di gestire l’impresa nella composizione negoziata individuando la soluzione per il superamento dell’insolvenza ex art. 21 comma 1 del CCII. Pertanto, il “risanamento” non consiste nella mera attività di liquidazione dell’attivo funzionale alla ristrutturazione del passivo attraverso lo stralcio concordato dei crediti.

Non rileva, a tal fine, la circostanza che, per effetto delle modifiche all’art. 23 comma 2 del CCII operate dal DLgs. 136/2024 (c.d. correttivo-ter), la composizione negoziata possa in via ordinaria risolversi anche nel concordato semplificato ovvero in altri strumenti liquidatori.

La ratio legis è finalizzata ad “apprezzare” il percorso anche nel caso in cui non conduca ad un accordo con i creditori (o il risanamento si sia rivelato non perseguibile), obbligando in ogni caso l’imprenditore a verificare le possibilità/capacità di ripristino dell’impresa, a determinare i valori di liquidazione giudiziale e a predisporre uno strumento alternativo, in caso di sviluppo negativo.

Il percorso, quindi, può condurre a qualsiasi strumento di tipo giurisdizionale anche liquidatorio (come il concordato semplificato) e tale risultato, secondo i giudici, non deve leggersi come un fallimento dello strumento stragiudiziale, perché avrà comunque agevolato e razionalizzato un eventuale concordato con cessione dei beni.
L’esito liquidatorio della composizione, rappresentato dal concordato semplificato, è ammissibile solo se il risanamento era ragionevolmente possibile ma non sia stato conseguito nonostante le trattative condotte secondo correttezza e buona fede (Trib. Milano 15 aprile 2025 n. 286).

Considerato che l’art. 23 comma 2 del CCII non pone limiti all’alternatività delle soluzioni, nel caso in cui il debitore intenda cedere i propri assets per soddisfare i creditori, in mancanza di un accordo, egli potrà accedere al concordato semplificato, oltre a quello liquidatorio ordinario.

Opzioni ermeneutiche volte ad una “composizione negoziata liquidatoria” non sembrano quindi compatibili con il dato letterale e con le finalità dello strumento.
Pertanto, per l’accesso alla composizione negoziata e, a fortiori, per la conferma delle misure protettive e per il beneficio delle misure premiali ex art. 25-bis del CCII, è necessario un piano che renda verosimile il conseguimento del riequilibrio o consenta la prosecuzione dell’impresa.

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