Usufruttuario tassato sui dividendi effettivamente percepiti
Soglie di qualificazione individuate con le norme sui diritti di voto del codice civile e partecipazione al patrimonio definita con la disciplina del registro
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17741, depositata ieri, ha analizzato il regime di imponibilità dei dividendi applicabile in caso di una persona fisica che possiede sia partecipazioni in piena proprietà che in nuda proprietà della medesima società.
Il caso di specie riguarda una contribuente che, in merito alla medesima spa che ha distribuito il dividendo, deteneva azioni in piena proprietà per il 19,50% del capitale sociale e azioni in nuda proprietà pari al 12,99% del capitale sociale.
Per i proventi percepiti nel 2008, il regime impositivo dei dividendi era differente a seconda che il contribuente fosse titolare di una partecipazione qualificata (imponibilità IRPEF sul 40% del provento) oppure non qualificata (ritenuta a titolo d’imposta ex art. 27 del DPR 600/73 all’epoca del 12,50%).
Dal 1° gennaio 2018, per le persone fisiche che percepiscono dividendi, la L. 205/2017 ha equiparato la tassazione degli utili qualificati a quella degli utili non qualificati, prevedendo l’applicazione generalizzata della ritenuta a titolo di imposta del 26% (salvo applicare un regime transitorio valido fino al 2022).
Il tema della qualificazione delle partecipazioni in caso di possesso di usufrutto o nuda proprietà resta comunque attuale anche con riferimento ad altri regimi.
Al riguardo, l’art. 67 comma 1 lett. c) del TUIR stabilisce che una partecipazione si considera qualificata quando rappresenta complessivamente:
- una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25% ovvero una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria superiore al 20%, per le società non quotate;
- una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5% ovvero una percentuale dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2%, per le società i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati.
I due criteri sono tra di loro alternativi: pertanto, affinché una partecipazione possa definirsi qualificata, è sufficiente che sia soddisfatto soltanto uno dei due requisiti sopracitati.
Al di sotto di tali limiti, la partecipazione si considera non qualificata.
La Corte di Cassazione osserva che il dividendo rappresenta il “frutto civile” dell’azione o della quota della società di capitali; in caso di usufrutto dell’azione, esso spetta, quindi, all’usufruttario e concorre a formare il reddito di questi.
Ciò non esclude, però, che la posizione del socio nudo proprietario debba essere considerata al fine di valutare se la sua partecipazione possa ritenersi “qualificata”.
In proposito, la Cassazione afferma che tale valutazione deve essere effettuata mediante la determinazione del valore delle quote in nuda proprietà, secondo i criteri di cui agli artt. 46 e 48 del DPR 131/86.
Se il valore delle quote in nuda proprietà, sommato a quello in piena proprietà, supera la soglia del 25% (del patrimonio o del capitale sociale), la partecipazione deve ritenersi “qualificata” ai fini fiscali.
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di secondo grado, si precisa che in questo modo non si giunge ad una iniqua tassazione di un dividendo non percepito dal detto socio, ma unicamente alla giusta valutazione della sua posizione all’interno della compagine sociale.
Viene quindi enunciato il seguente principio di diritto: “al fine di determinare se la partecipazione in una società di capitali possa ritenersi «qualificata», ai sensi e per gli effetti dell’art. 27 d.P.R. n. 600/1973, devono essere prese in considerazione anche le azioni detenute in nuda proprietà, previa valutazione delle stesse e sommatoria del relativo valore a quello delle azioni eventualmente detenute in piena proprietà (ex art. 67, primo comma, TUIR); l’aliquota maggiore (40%) andrà applicata, in ogni caso, solo sul reddito effettivamente percepito”.
La medesima impostazione si riviene nella prassi dell’Agenzia delle Entrate nella risoluzione 16 maggio 2006 n. 65 e nella risposta a interpello 7 ottobre 2021 n. 679.
Tali documenti hanno infatti chiarito che:
- il valore della percentuale di capitale sociale rappresentata dalla partecipazione va calcolata con riferimento alla parte del valore nominale delle partecipazioni corrispondente al rapporto tra il valore dell’usufrutto o della nuda proprietà e il valore della piena proprietà;
- il valore dell’usufrutto e quello della nuda proprietà si determinano secondo i criteri indicati dagli artt. 46 e 48 del DPR 131/86.
Questo significa che il valore dell’usufrutto di una partecipazione si determina:
- moltiplicando il valore della piena proprietà per il tasso di interesse legale;
- moltiplicando il valore così ottenuto per il coefficiente, indicato nel prospetto allegato al DPR 131/86, applicabile in relazione all’età dell’usufruttuario.
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