Il CNDCEC rivendica la valorizzazione delle donne
Il Presidente de Nuccio risponde alle polemiche delle ultime settimane: negli organi nazionali ampia rappresentanza femminile
La quota di donne presenti negli organismi di governo e di controllo del Consiglio nazionale dei commercialisti e delle società partecipate al 100% dall’ente è pari al 39%, ovvero il 5% in più rispetto al totale delle iscritte, mentre se si considerano i soli organismi di categoria (Consiglio, revisori, Cpo, disciplina e fondazione), questa percentuale sale al 52,6%. Con questi numeri, diffusi ieri, l’ente guidato da Elbano de Nuccio risponde alle polemiche nate all’indomani della pubblicazione del programma degli Stati generali, tenutisi lo scorso 10 giugno.
La scaletta, almeno inizialmente, non prevedeva alcun intervento femminile e questo ha provocato un moto d’indignazione all’interno della categoria, sfociato in una lettera aperta indirizzata alla stesso de Nuccio e sottoscritta da più di 400 commercialisti. A circa dieci giorni di distanza dagli Stati generali, il Presidente del CNDCEC ha deciso di replicare, provando a dimostrare, numeri alla mano, che in realtà sotto la sua gestione ci sia stata una valorizzazione del ruolo femminile all’interno degli organi decisionali nazionali.
“La quota di donne nel 2021 – si legge nel comunicato stampa diffuso ieri –, un anno prima che si insidiasse l’attuale Consiglio nazionale, la presenza delle donne non superava il 13% del totale di tutte le cariche presenti negli organi di vertice comprese le società partecipate al 100% e gli enti controllati”. C’è da dire che, prima dell’insediamento di questo Consiglio, è stata introdotta la norma che obbliga al rispetto delle quote di genere, ma de Nuccio sottolinea che si è andati oltre la percentuale del 33% imposta per legge. Stando ai dati della Fondazione siamo al 39 e al 52,6%, dati che porrebbero il CNDCEC sopra non solo alle altre professioni economico-giuridiche, ma anche ai cinque principali Ordini locali dei commercialisti.
Allegate alla nota stampa, infatti, vengono riportate due tabelle: nella prima si confronta la quota di donne presenti negli organismi di governo e di controllo degli enti e delle società partecipate al 100% del CNDCEC (39%) con quella dei Consigli nazionali di consulenti del lavoro (35%), avvocati (25%) e notai (16). La percentuale, dunque, risulta maggiore, nonostante il fatto che il totale di commercialiste iscritte all’albo sia inferiore rispetto a quello registrato dalle altre tre professioni ordinistiche (34% contro il 37% dei notai e il 47% di consulenti del lavoro e avvocati).
La seconda tabella, invece, compara la percentuale di donne presenti negli organismi di vertice del Consiglio nazionale (Consiglio, revisori, Cpo, disciplina e fondazione) con quella degli Ordini di Roma, Milano, Torino, Napoli e Bari. A fronte del 52,6% del CNDCEC, Bari arriva al 52,5% mentre Milano si ferma al 49,2; seguono Roma (45,5), Torino (36,2) e Napoli (32,1).
Questi dati, ha commentato de Nuccio, sono la “dimostrazione concreta di una volontà politica precisa, di un impegno che ha saputo tradursi in scelte operative. Non si tratta di un maquillage numerico, ma di un cambio di passo culturale, che è la migliore risposta alle polemiche pretestuose che su questo tema si sono avute in queste settimane all’interno della categoria. Il Consiglio nazionale non si è limitato a parlare di donne: ha dato loro spazio reale, ha valorizzato competenze, ha aperto porte che per anni erano rimaste socchiuse. E lo ha fatto in modo trasparente, senza clamori, ma con un risultato evidente. Questo non significa che la strada sia conclusa, il gender pay gap resta significativo, e in molti territori la parità è ancora un obiettivo lontano. Ma il dato nazionale è un segnale incoraggiante, che dimostra come il cambiamento sia possibile se accompagnato da volontà, visione e azione”.
La differenza reddituale tra uomini e donne si attesta 43%, ancora ampia ma in leggero rispetto al 44% del 2008 e comunque più bassa rispetto alla media Adepp di tutte le Casse previdenziali dei liberi professionisti, che è pari al 47%.
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