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LAVORO & PREVIDENZA

Prescrizione dei contributi previdenziali alla Corte di Giustizia Ue

Rinvio pregiudiziale del Tribunale di Napoli, con cinque quesiti sul tema

/ Federico ANDREOZZI

Venerdì, 20 giugno 2025

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Con l’ordinanza del 31 marzo 2025, il Tribunale di Napoli ha sollevato rinvio pregiudiziale, sottoponendo alla Corte di Giustizia Ue cinque quesiti vertenti sul tema della prescrizione dei crediti contributivi.

Nel nostro ordinamento il lavoratore può far valere i crediti retributivi derivanti dal rapporto di lavoro entro il termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla cessazione del rapporto; la ratio di tale disciplina va ravvisata nella situazione di metus in cui versa il lavoratore nel corso del rapporto.
Diversamente, per ottenere il versamento dei contributi, il prestatore di lavoro deve necessariamente agire in giudizio nel corso del rapporto di lavoro (sempre che, peraltro, si costituisca in giudizio l’INPS e rivendichi il diritto al versamento); la prescrizione dell’azione per il versamento dei contributi, infatti, sebbene abbia anch’essa un termine quinquennale, decorre dal momento in cui gli stessi contributi devono essere versati.
Il giudice napoletano pone dunque la questione al vaglio della Corte Ue.

Le norme attorno a cui ruotano i quesiti sono gli artt. 2 e 8 della direttiva 91/533/Cee, applicabile ratione temporis al caso di specie ma sostituita dalla successiva direttiva 2019/1152/Ue. che ne replica i contenuti con riferimento agli aspetti inerenti al documento di assunzione e alla retribuzione. In particolare, l’art. 2 statuisce che il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore gli elementi essenziali del contratto di lavoro tra cui l’importo base iniziale, gli altri elementi costitutivi e la frequenza di pagamento della retribuzione a cui ha diritto il dipendente.

Secondo quanto previsto dall’art. 8, invece, gli Stati membri devono prevedere nel loro ordinamento le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratore che si ritenga leso dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti dalla direttiva di difendere i propri diritti.

A fronte di ciò, il Tribunale napoletano evidenzia la necessità di chiarire se gli obblighi dello Stato membro si limitino alla necessità di assicurare la consegna del documento di assunzione ovvero se debba essere garantita l’effettiva tutela dei diritti indicati al suo interno. A sostegno di quest’ultima interpretazione si porrebbe, secondo il giudice di Napoli, il rilievo in forza del quale la norma parla di “diritti”, al plurale, e non già di “diritto”, per cui parrebbe esprimere lo scopo di tutelare i diritti indicati nel documento di assunzione.

Da qui si giunge al secondo quesito. Il Tribunale si interroga se la pensione possa considerarsi quale retribuzione differita.
Secondo la giurisprudenza eurounitaria, una pensione costituisce retribuzione differita quando trova il proprio fondamento nel rapporto di lavoro e non è erogata per ragioni di carattere assistenziale.
Nel nostro ordinamento la pensione dipende dagli anni di versamento contributivo e dagli importi versati calcolati in percentuale sulla retribuzione mensilmente percepita; essa, a ben vedere, potrebbe essere considerata retribuzione differita ai sensi della normativa europea.

Fornendo una risposta positiva a entrambi i quesiti, ne consegue che lo Stato membro debba essere tenuto a predisporre strumenti idonei a garantire l’effettività dei diritti patrimoniali che derivano dalla comunicazione di cui al menzionato art. 2, inclusa la retribuzione differita sotto forma di trattamento pensionistico. Tuttavia, il Tribunale di Napoli rileva come non sussista un’azione che il lavoratore possa esperire per ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva, essendo gli unici rimedi l’azione risarcitoria ex art. 2116 c.c. e quella finalizzata alla costituzione di una rendita vitalizia di cui all’art. 13 della L. 1338/62 che, però, presuppongono il raggiungimento dell’età pensionabile.

Il Tribunale di Napoli interroga quindi la Corte di giustizia, domandando se l’art. 8 della direttiva menzionata osti alla circostanza per cui il lavoratore risulti obbligato, nel corso del rapporto di lavoro, a convenire in giudizio il datore, oltre che l’INPS, per richiedere il versamento dei contributi, al fine di evitare la prescrizione dei propri diritti, e che, al contempo, tali diritti dipendano dalla esclusiva volontà dell’INPS di costituirsi in giudizio e di richiedere il pagamento del credito.

Infine, il giudice del rinvio domanda alla Corte Ue se applicare il medesimo regime di prescrizione all’omesso versamento dei contributi e all’omesso pagamento delle retribuzioni sia una misura sufficiente a soddisfare gli obblighi di cui all’art. 8 della direttiva 91/533/Cee.

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