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Lunedì, 8 settembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

ECONOMIA & SOCIETÀ

Il versamento sul conto cointestato non è per forza liberalità indiretta

È necessario dimostrare lo spirito di liberalità

/ Anita MAURO

Lunedì, 8 settembre 2025

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Con una recente sentenza (n. 22613 del 5 agosto 2025), la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi di liberalità indirette, soffermandosi, in questa occasione, sui profili civilistici.
In particolare, la pronuncia affronta un interrogativo che si pone non raramente nella pratica, ovvero se il versamento di una cospicua somma, sul conto corrente cointestato con il coniuge, implichi una liberalità indiretta (di valore pari a metà della somma depositata) a favore di quest’ultimo.

Nel caso di specie, la questione si poneva nel contesto di una vicenda di natura successoria: a seguito della morte della moglie, il marito (in seconde nozze) aveva presentato ricorso per chiedere lo scioglimento della comunione ereditaria con il figlio (di prime nozze) della donna. In questa sede, il convenuto (figlio della defunta) aveva chiesto la collazione della donazione indiretta che, a suo dire, l’attore (marito della defunta) aveva ricevuto da quest’ultima, consistente nell’accredito, sul conto corrente cointestato tra i coniugi, di una consistente somma, incassata dalla defunta come prezzo per la vendita di un immobile che era di sua proprietà personale.

La domanda di collazione della – presunta – donazione viene respinta dal Tribunale, il quale nega che l’accredito sul conto cointestato potesse qualificarsi come liberalità indiretta “essendo emerso che durante tutto il matrimonio, protrattosi per oltre 37 anni”, su quel conto corrente “erano confluite anche rilevanti somme appartenenti” al marito e che, pertanto, la defunta, con tale versamento, “aveva semplicemente concorso nelle spese per il mantenimento della famiglia”.

La questione giunge in Cassazione, che respinge il ricorso del figlio della defunta, confermando la decisione dei giudici di merito.
In pratica, la Suprema Corte mette in luce che, pur non potendosi escludere che un versamento sul conto corrente cointestato configuri una liberalità indiretta, tuttavia tale qualificazione implica l’imprescindibile prova dello spirito di liberalità in capo al donante.
Quindi, nel caso di specie, per dimostrare che la de cuius, nel depositare sul conto cointestato il prezzo della vendita dell’immobile personale, intendesse donare al marito la metà delle somme versate, sarebbe stato necessario provare che la donna avesse l’intenzione di arricchire il marito per spirito di liberalità, con suo relativo depauperamento.
Tale dimostrazione era mancata, mentre era emerso che “secondo il modus operandi dei due coniugi protrattosi per decenni” essi, con i molteplici, rispettivi versamenti sul conto avevano “solo contribuito alle spese nell’interesse della famiglia”.

In questo contesto, peraltro, non è veritiero (come affermato dal ricorrente) che i giudici di merito abbiano sostenuto che il marito fosse diventato comproprietario di quelle somme; in verità, i giudici di merito hanno semplicemente ritenuto che quei versamenti servissero “a predisporre la provvista per far fronte alla gestione familiare, non essendo sorretti dall’intento della titolare di trasferirne la proprietà pro quota a titolo di donazione”.

In breve – sembra dire la Corte – posto che molteplici ragioni possono stare alla base del versamento sul conto cointestato tra i coniugi, la natura liberale deve essere espressamente dimostrata, non potendo essere desunta implicitamente dal semplice versamento o dal rapporto di coniugio.

Onere della prova in capo a chi chiede di riconoscere la natura liberale

La Cassazione precisa infine che l’onere di provare che il deposito sul conto cointestato di somme personali è sorretto da spirito liberale grava su chi deduca il perfezionamento della liberalità.

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