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ECONOMIA & SOCIETÀ

Truffa aggravata per le assunzioni fittizie per far ottenere la NASpI

Rileva l’aver reso più difficile la verifica postuma dei presupposti per l’erogazione della prestazione

/ Maria Francesca ARTUSI

Giovedì, 11 settembre 2025

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La NASpI (nuova assicurazione sociale per l’impiego) è una prestazione a sostegno del reddito che ha natura assistenziale e certamente rientra nel novero delle “erogazioni” che possono rilevare ai fini dell’integrazione del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall’art. 316-ter c.p., oppure per l’integrazione del reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 c.p.

Nella rassegna delle possibili forme di contribuzione penalmente rilevante, le Sezioni Unite penali n. 11969/2025 hanno di recente precisato l’inclusione dell’assegno sociale ottenuto mediante la presentazione all’INPS di apposita domanda, con allegata falsa attestazione di residenza nel territorio dello Stato; degli assegni familiari ottenuti mediante la predisposizione di una falsa dichiarazione con la quale l’imputato attestava di avere il coniuge a carico in quanto privo di reddito; della pensione di invalidità civile ottenuta mediante un antidoveroso silenzio informativo; del c.d. reddito minimo di inserimento, ottenuto tramite l’omessa comunicazione al Comune del fatto che era entrato a far parte del nucleo familiare un soggetto percettore di reddito, la cui presenza faceva venir meno il diritto all’indennità mensile; del voucher attribuito da un ente pubblico per la frequentazione di un corso di formazione, etc.

La pronuncia n. 30485, depositata ieri dalla Cassazione, richiama tale illustre precedente con espresso riferimento alla concessione della NASpI introdotta dal DLgs. 22/2015 per fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. Tale misura è riconosciuta, per quanto qui rileva, ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente una serie di requisiti.

Non v’è dubbio – secondo i giudici di legittimità – che la NASpI costituisca una prestazione assistenziale che si traduce in un contributo penalmente rilevante ai sensi dell’art 316-ter c.p. Laddove tuttavia vi siano anche degli “artifici e raggiri” si pone il problema del rapporto del reato in questione con quello di cui all’art. 640 comma 2 n. 1) c.p. (ove si prevede un aggravamento della pena laddove “il fatto sia commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare”).

È orientamento consolidato che la fattispecie criminosa di cui all’art. 316-ter c.p. ha carattere residuale e sussidiario rispetto alla fattispecie di truffa aggravata e non è con essa in rapporto di specialità, sicché ciascuna delle condotte ivi descritte (utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, e omissioni di informazioni dovute) può concorrere a integrare gli artifici e i raggiri previsti dalla fattispecie di truffa, ove di questa figura criminosa siano integrati gli altri presupposti.

In altre parole, il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell’ente erogatore, il quale si limita a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva.

Venendo al tema della NASpI, la sentenza in esame evidenzia come la presentazione della domanda (e la correlata dichiarazione di essere stato licenziato) non è di per sé sufficiente alla erogazione della prestazione dovendo quantomeno l’INPS confrontarla con i dati in proprio possesso, i quali preesistono alla domanda stessa e, quando – come nel caso di specie – sono frutto di assunzioni fittizie, costituiscono certamente artifici e raggiri in grado di indurre in errore l’ente previdenziale. L’INPS, infatti, non si limita a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente essendo già in possesso delle ulteriori informazioni necessarie alla erogazione del beneficio; informazioni che, come detto, se presenti nella banca dati a seguito del preventivo invio di comunicazioni false, costituiscono artifici e raggiri idonei a trarre in inganno l’Istituto anche nella fase istruttoria che precede l’erogazione del contributo.

Nel caso in esame, l’amministratore di fatto di alcune srl aveva denunciato falsamente la costituzione di rapporti di lavoro, per poi dichiarare licenziamenti fittizi. Gli artifici e i raggiri vengono identificati, dunque, dai giudici non solo nel fatto di aver tratto in inganno l’Istituto previdenziale sulla effettiva esistenza del rapporto di lavoro, ma anche nell’aver reso più difficile la verifica postuma dei presupposti per l’erogazione della prestazione richiesta. Al complesso meccanismo truffaldino si aggiungeva peraltro l’indebita compensazione dei debiti contributivi con crediti inesistenti che avevano titolo negli inesistenti rapporti di lavoro.

Ne consegue che, per la Cassazione, sussiste il più grave delitto di cui all’art. 640 c.p. nella sua forma aggravata ai sensi del comma 2 n. 1) già citato.

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