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Giovedì, 14 agosto 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Caparra e acconto sono due fattispecie diverse

/ Anita MAURO

Giovedì, 14 agosto 2025

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In passato, si era posto il problema di qualificare correttamente le somme corrisposte al contratto preliminare, in modo da applicare l’imposizione adeguata ai fini delle imposte indirette.
Fino al 31 dicembre 2024, infatti, le somme corrisposte a titolo di acconto (non soggetto a IVA) scontavano l’imposta di registro del 3%, mentre le somme corrisposte a titolo di caparra scontavano l’aliquota dello 0,5%. Pertanto, la qualifica come “acconto” o come “caparra” poteva incidere in modo rilevante sulla tassazione.

Alla luce della riforma introdotta dal DLgs. 139/2024, che ha equiparato l’aliquota dell’imposta di registro applicabile sulle caparre e sugli acconti, fissandola in entrambi i casi allo 0,5% (si veda “Registro applicabile alle somme versate al preliminare con una sola aliquota” del 19 marzo 2025), la questione ha perduto rilevanza, ma è interessante notare come il tema si ponga ancora, seppur con effetti più limitati, per gli atti imponibili a IVA.

Oggi, se due soggetti privati stipulano un contratto preliminare che preveda la corresponsione di somme (prima del definitivo) queste – sia che si tratti di acconti che di caparre – sconteranno l’imposta di registro dello 0,50% oppure nella misura inferiore applicabile per il contratto definitivo.
Quindi, ipotizzando un contratto preliminare fuori campo IVA che preveda una caparra o un acconto di 50.000 euro, l’imposta di registro sarà dovuta nella misura di 250 euro, salvo che dal definitivo non derivi l’applicazione di un’imposta in misura inferiore (ad esempio, ove si trattasse dell’acquisto di un terreno con le agevolazioni per la PPC, per le quali l’imposta di registro si applica in misura fissa, al preliminare l’imposta versata sull’acconto o sulla caparra non potrebbe superare i 200 euro). Si ricorda che l’imposta pagata su caparre o acconti va imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.

Nel caso appena proposto, il fatto che le somme versate al preliminare siano qualificate come acconti o come caparre è, quindi, indifferente ai fini dell’imposizione finale. Ove, invece, il contratto definitivo sia imponibile a IVA (anche su opzione), l’imposizione (del preliminare) potrebbe mutare.

Infatti, mentre le somme corrisposte a titolo di caparra, avendo funzione di risarcimento del danno da inadempimento, sono fuori campo IVA (fino a che non siano eventualmente imputate a corrispettivo), le somme corrisposte a titolo di acconto realizzano, invece, il presupposto d’imposta. In queste ipotesi, quindi (si veda “Caparre e acconti alla prova dell’alternatività” del 31 marzo 2025):
- se le somme versate al preliminare hanno natura di acconto imponibile a IVA scontano l’imposta sul valore aggiunto già al preliminare (e, secondo la risposta Agenzia delle Entrate n. 311/2019, anche l’imposta di registro fissa);
- se le somme versate al preliminare hanno natura di acconto esente da IVA scontano l’imposta di registro proporzionale se si tratta di immobili abitativi, l’imposta fissa se si tratta di immobili strumentali;
- se le somme versate al compromesso hanno natura di caparra scontano l’imposta di registro proporzionale e sono fuori campo IVA.

In questi casi permane, quindi, la necessità di qualificare correttamente le somme versate al preliminare.
In linea di principio, se le parti qualificano espressamente e in modo chiaro le somme versate non dovrebbero sorgere dubbi. Talvolta, però, vengono utilizzate formule che possono ingenerare dubbi. Ad esempio, in passato, l’Agenzia delle Entrate (ris. n. 197/2007) era stata chiamata a chiarire la tassazione di una formula particolarmente infelice: “imputazione al prezzo a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo”. A fronte di questa formula confusa, l’Agenzia aveva affermato che, in caso di mancata qualificazione delle somme o di dubbi sulla natura delle somme, si dovesse optare per la qualifica come acconto.

Tale impostazione è stata confermata nella circolare n. 18/2013, ove si legge che “se per le somme versate in occasione della stipula del contratto preliminare manca una espressa qualificazione o è dubbia l’intenzione delle parti sulla natura delle stesse, tali somme saranno da considerarsi acconti di prezzo”.
Questa indicazione potrebbe tornare ancora utile oggi, seppur solo nei casi di contratti preliminari relativi a definitivi soggetti a IVA.

Occorre, però, chiarire che “l’incertezza” sulla qualificazione delle somme esiste solo in presenza di una mancata qualificazione o di formule “prive di significante” come quella usata nel caso esaminato dalla risposta n. 197/2007. Invece, come già rilevato a suo tempo dal Notariato (Studio n. 185-2011/T) non esiste alcun dubbio ove, ad esempio, il preliminare specifichi che le somme sono versate a titolo di caparra e saranno poi imputate ad acconto. Questa indicazione è perfettamente compatibile con la natura della caparra, che, per espressa previsione dell’art. 1385 c.c., “in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta”. L’indicazione contrattuale sulla volontà di imputare la caparra a corrispettivo (convertendola – di fatto – in acconto) non rende in alcun modo “dubbia” la qualificazione della somma versata al preliminare, ma ne conferma la natura di caparra, in coerenza con l’art. 1385 c.c.

Esempio: contratto preliminare che prevede la corresponsione di 50.000 euro
Imposte totali sul compromesso
Preliminare che prevede 50.000 euro di acconto
Se il definitivo è imponibile a IVA
200 euro per il preliminare
+
IVA sull’acconto
+
200 euro (imposta di registro su acconto per alternatività, cfr. ris. n. 311/2019)
Se il definitivo è fuori campo IVA
200 euro per il preliminare
+
250 euro sull’acconto (0,5%) o la minore imposta dovuta al definitivo
Preliminare che prevede 50.000 euro di caparra
In ogni caso
200 euro per il preliminare
+
250 euro sull’acconto (0,5%) o la minore imposta dovuta al definitivo

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