Restituzione della caparra con registro al 3%
La Corte di Cassazione recepisce la qualificazione dell’atto quale mutuo dissenso
Sconta l’imposta di registro del 3% l’atto con cui le parti del contratto preliminare lo risolvono consensualmente con conseguente restituzione delle somme versate a titolo di caparra e acconto.
Lo afferma la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32217 depositata ieri.
La vicenda origina dal contratto preliminare con cui, nel 2010, la società Alfa promette di vendere a Beta un terreno edificabile, per il corrispettivo di 4.700.000 euro, ricevendo una caparra confirmatoria di 400.000 euro. Successivamente, dopo il rilascio del permesso di costruire, il termine per l’adempimento del preliminare viene differito di comune accordo e Beta versa un’ulteriore somma, a titolo di acconto, pari a 1.000.000 euro.
Nel 2012, però, Alfa vende il terreno a una società di leasing, prevedendo che questa lo conceda in locazione finanziaria a Beta.
Si può ipotizzare, in breve, che la promissaria acquirente abbia deciso di farsi finanziare l’acquisto mediante leasing e che, a tal fine, abbia chiesto alla promittente venditrice Alfa di trasferire il terreno direttamente alla società di prescelta per l’operazione di leasing.
A tal punto, quindi, Alfa e Beta stipulano un atto con cui consensualmente risolvono il contratto preliminare originario e Alfa restituisce a Beta 1.400.000 euro nel frattempo versati.
Su questo atto, l’Agenzia delle Entrate chiede l’imposta di registro del 3%, a norma dell’art. 28 comma 2 del DPR 131/86.
A seguito del ricorso delle parti contrattuali, la vicenda giunge in Cassazione, ove, infine, i contribuenti risultano soccombenti.
La decisione è imperniata sull’applicazione dell’art. 28 del DPR 131/86, il quale, al comma 1, stabilisce che la risoluzione del contratto è soggetta al pagamento dell’imposta di registro fissa:
- se dipende da una clausola o da una condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso;
- se stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto.
Il medesimo art. 28 comma 1 del DPR 131/86 aggiunge che, ove per la risoluzione sia previsto un corrispettivo, su tale importo si applica l’imposta proporzionale:
- dello 0,50%, prevista (per la quietanza) dall’art. 6 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86, ove il pagamento sia contestuale all’evento risolutorio;
- del 3%, prevista dalla norma residuale recata dall’art. 9 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86, ove il pagamento del corrispettivo sia differito nel tempo.
Il successivo comma 2 dell’art. 28 citato stabilisce, infine, che “in ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse”.
I ricorrenti sostenevano che questa disposizione non consentisse di applicare l’imposta di registro del 3% sulla restituzione della caparra e dell’acconto, in quanto non si trattava di una prestazione derivante dalla risoluzione, bensì di un atto autonomo, privo di contenuto patrimoniale (ex art. 11 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131//86), conseguente all’adempimento dell’obbligazione (assunta nel preliminare) da parte di un altro soggetto (la società di leasing). Inoltre – aggiungevano i ricorrenti – nessun arricchimento era derivato da tale operazione, sicché il prelievo proporzionale sarebbe stato privo di presupposto impositivo.
La Cassazione, tuttavia, non accoglie il ricorso e dopo aver accolto (in quanto elemento non passibile di discussione in sede di legittimità) la qualificazione del negozio stipulato dalle parti quale mutuo dissenso, conclude che esso sconti l’imposta di registro proporzionale.
Secondo la Corte, infatti, la risoluzione del contratto per mutuo dissenso “annulla retroattivamente il contratto originario, cancellando obblighi e diritti preesistenti” e dando origine a un nuovo negozio giuridico di natura solutoria, soggetto a imposizione proporzionale in forza dell’art. 28 comma 2 del DPR 131/86. In questo contesto, quindi – precisano i giudici di legittimità – non rileva l’assenza di un effettivo arricchimento, in quanto la tassazione poggia sulla “semplice esistenza del nuovo contratto risolutivo con effetti restitutori”.
A conferma del proprio orientamento, la Cassazione porta numerosi precedenti del collegio di legittimità (tra le tante, Cass. n. 26212/2021, si veda “Ipo-catastali proporzionali per il mutuo dissenso di scissione con immobili” del 29 settembre 2021), secondo i quali il nuovo contratto risolutorio rappresenta una nuova espressione di capacità contributiva tassabile in via autonoma.
A nulla rileva – aggiunge infine la Corte – l’assenza della previsione di un corrispettivo per la risoluzione, in quanto l’imposta colpisce “la ricchezza trasferita anche indipendentemente dalla pattuizione di un’ulteriore prestazione corrispettiva del ri-trasferimento”.
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