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OPINIONI

Per il sistema tributario è ora della codificazione

Per evitare le violazioni dello Statuto dei diritti del contribuente, bisogna attribuirgli un ruolo sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria

/ Paolo MORETTI

Venerdì, 30 luglio 2010

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È dal 1942 che ci si dibatte su come fare per garantire i diritti del contribuente dagli effetti negativi derivanti dalla proliferazione di disposizioni tributarie contraddittorie. Dieci anni fa, con l’approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), ci si è illusi di risolvere il problema ponendo un freno all’attività legislativa che abusava della decretazione di urgenza per risolvere i singoli casi e per perseguire finalità di incremento del gettito con la produzione di norme aventi effetto retroattivo, senza preoccuparsi degli evidenti riflessi negativi sui contribuenti e sul sistema economico. Lo Statuto, pur costituendo un passaggio importante, non ha raggiunto le finalità che ci si aspettava, in quanto i principi in esso contenuti, essendo stati introdotti con procedimento ordinario, fissano regole per la produzione di norme giuridiche solo di pari rango, ovvero di norme ordinarie.
Inoltre, l’efficacia dei principi dello Statuto è ulteriormente indebolita dalla previsione recata dallo stesso di poter essere derogato da una successiva norma richiedendo solo che ciò venga reso esplicito nella norma di deroga. Le norme dello Statuto dei diritti dei contribuenti, come ha ribadito la Corte di Cassazione, non sono aggiuntive rispetto ai principi fondamentali già esistenti e pertanto non sarebbe necessario di una esplicitazione normativa dei principi già esistenti nell’ordinamento della materia tributaria. Ma di fatto le leggi d’imposta sono applicate dall’Amministrazione finanziaria non solo con interpretazioni autentiche pretestuose, ma con circolari (con il consenso dello stesso Parlamento per esigenze di gettito) che spesso si contrappongono alla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione. La violazione di tali principi si è manifestata in tutta la sua drammaticità con i provvedimenti del Governo (DL n. 223/2006, DL n. 262/2006, Legge finanziaria per il 2007), che con le innumerevoli, complesse e scoordinate regole, spesso con efficacia retroattiva, hanno realizzato una vera e propria riforma del sistema tributario. Tutto ciò ha comportato problemi interpretativi e applicativi che l’Amministrazione finanziaria ha tentato di risolvere con circolari esplicative e comunicati stampa. La complessità della materia ha richiesto anche l’emanazione di una serie di provvedimenti di normazione secondaria tuttora in fase di completamento.

Ciò che avviene provoca continuamente reazioni da parte di imprese, di categorie professionali e della stessa Corte dei Conti, che con Atto n. 171 del 29 maggio 2007, “Rapporti fisco-contribuenti: stato di attuazione dello statuto del contribuente e dell’obiettivo di ottimizzazione del servizio per i contribuenti-utenti”, ha ammonito l’Amministrazione finanziaria al rispetto dei principi fissati dallo Statuto, nonché invitato il Governo ad adottare le misure necessarie per risolvere i problemi evidenziati. La stessa Corte Costituzionale (nn. 515/2000; 419/2000; 416/1999), in merito al divieto di retroattività contenuto nello Statuto, ha più volte affermato che quest’ultimo va ritenuto quale fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, e che l’affidamento del cittadino non può essere leso da disposizioni retroattive che trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti. Inoltre, la retroattività può essere costituzionalmente accettabile solo se si fonda su un bilanciamento del sacrificio dell’affidamento del cittadino e della ragionevole necessità di realizzare altri interessi di pari rango costituzionale.

Sembra necessario intervenire senza contrapporsi all’Amministrazione finanziaria o all’interesse fiscale, ma stabilire una volta per tutte come rispettare i diritti dei cittadini che pagano le imposte e l’esigenza del gettito nel rispetto della legalità. Per evitare il perpetuarsi delle violazioni dello Statuto, in particolare per la parte relativa alla produzione normativa (artt. 1-4), non resta che attribuire ai principi in esso contenuti un ruolo sovraordinato rispetto all’ordinaria legislazione in materia tributaria. Si tratterebbe di dare una consistenza giuridica coerente con l’autoqualificazione di norme costituzionali contenuta nell’ art. 1 dello Statuto.
Tale obiettivo può essere ottenuto seguendo due strade, o costituzionalizzando lo Statuto, o adottando un codice unico tributario. La prima soluzione sarebbe la migliore, ma comporta l’attivazione della procedura di approvazione prevista per le leggi costituzionali, con i conseguenti rischi e tempi tipici dell’iter parlamentare, nonché il conseguente effetto di rendere illegittimo ogni ricorso alla retro attività per esigenze di gettito (cancellando così il carattere dell’attualità della capacità contributiva, come elaborato sin dal 1995 dalla Corte Costituzionale). Ove ciò fosse un ostacolo insormontabile, si potrebbe perseguire la seconda strada. La recente dichiarazione del ministro dell’Economia Giulio Tremonti di costituire un “Codice unico Tributario” potrebbe essere l’occasione per suggerire tale idea. Esempi in tal senso ci vengono dagli altri Paesi europei, che hanno codificato l’ordinamento tributario in una logica di sistema seguendo modelli diversi a seconda che valorizzino o meno la presenza di disposizioni preliminari.

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