Siciliotti «vola alto», ma non tutti vedono un progetto concreto di comunità
Il Congresso di Napoli è stato spettacolare, ma c’è anche chi invita a fare politica anche per la categoria, non solo per il Paese
Quello di Napoli è stato certamente un Congresso spettacolare. Mai, prima d’ora, professionisti adusi a confrontarsi nella quotidianità con codici e valori economici erano stati affascinati in tale misura da giochi di luci e telecamere in diretta. Inusuale, per una platea di “tecnici”, la ricerca intensa di sensazioni emotive, in particolare nelle relazioni del presidente, che hanno provato a toccare l’animo degli astanti, facendo leva sui sentimenti e principi etici fondanti la migliore cultura italica: quella del risorgimento e dell’impegno civile, fortemente testimoniato proprio in quel periodo; quella del senso del dovere, votato sino all’estremo sacrificio, dimostrato dai tanti “Eroi borghesi”, più volte evocati ed innalzati, giustamente, ad esempio immanente ed imperterrito; quella del rispetto della legalità come elemento fondante della civile (e proficua) convivenza tra cittadini di una comunità democratica. Dominatore indiscusso della scena è stato il presidente nazionale, che ha confermato di possedere quelle forti doti di carisma e personalità per le quali la maggioranza degli aventi diritto l’aveva designato a guidare, per primo, l’Albo unico. Claudio Siciliotti si è impegnato, ancora una volta, per dare un’immagine positiva della categoria. Lo ha fatto non solo esaltando la funzione pubblicistica dell’operato quotidiano dei 110.000 iscritti, ma proponendo – ancora una volta – la categoria come “soggetto politico forte”, in grado di confrontarsi con l’analisi dei problemi del Paese e di suggerire, autorevolmente e sulla scorta di una competenza “tecnica”, le soluzioni migliori per i destini comuni degli Italiani. Da questo punto di vista, il Congresso di Napoli ha rappresentato la naturale evoluzione di un percorso politico che ha portato il Consiglio Nazionale – e, primo tra tutti, il suo presidente – a proporsi alla società civile in maniera (e con pretese funzioni istituzionali) differenti. Il cammino del “Presidente pensiero” è partito da Torino 2008 ed ha preso man mano forma, toccando il suo apice alla II Conferenza di categoria, a Roma alla fine del 2009. Da lì in avanti, però, per alcuni il messaggio è divenuto improduttivamente ridondante, forzatamente amplificato negli effetti dalla forma e non più dalla sostanza. Hanno pesato a Napoli le assenze dei “politici” che – diversamente dalle altre occasioni in cui non avevano disdegnato il confronto – stavolta hanno, a detta di molti dei presenti, volutamente evitato l’evento. Ad alcuni colleghi, e forse anche ai politici, le parole di Siciliotti – quelle del Congresso ma, soprattutto, quelle dette a giornali e in tv negli ultimi mesi – sono sembrate come un’evidente “discesa in campo”. Stavolta, però, il terreno del confronto – secondo molti – non sarebbe più quello del dibattito democratico tra rappresentanti istituzionali di pezzi dello “Stato” (e il CNDCEC è un pezzo dello Stato!), ma tra esponenti di parti politiche e un aspirante tale. Un pensiero tanto forte da costringere il presidente a smentirlo categoricamente, durante le conclusioni del Congresso.
“Vola alto” Siciliotti e lo fa anche col suo libro Dare e Avere, distribuito gratuitamente al Congresso. Un testo rigoroso ed apprezzabile, non scritto, però, per la categoria e che non tocca problematiche di rappresentanza istituzionale della medesima. Secondo molti, un evidente elemento di quella “discesa” in un campo che non è quello delle istituzioni dei commercialisti. Si collegherebbe anche al libro la forte sensazione di molti, a cui è parso che il Consiglio nazionale (e per tutti, il suo vertice operativo) si stia allontanando sempre di più da quelli che sono le sue precipue funzioni istitutive, elencate all’articolo 29 del DLgs n. 139/05, a favore dell’accrescimento di una politica d’immagine e di forte presenza mediatica. Un fattore, questo, apprezzato da tanti, ma che inizia a preoccupare non pochi, in particolare per la “personalizzazione” della politica di categoria nella figura di Siciliotti. Insomma, i problemi della politica nazionale sono – probabilmente – emersi in maniera evidente anche nella politica di categoria. Nonostante tutto, Siciliotti “vola alto” e rivendica con forza il suo diritto/dovere di farlo. Continua ad esaltare il primato dell’etica nei comportamenti individuali. Continua ad invitare tutti a “mettere alla base del proprio agire il valore dell’esempio”, proponendo come modello “persone che non cercano nulla, se non la serenità con la propria coscienza”. L’esempio – ancora una volta – è quello dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Non si può non essere d’accordo. Eppure, c’è chi invita anche a “volare basso”. Ad occuparsi di più – e con più risorse – della tutela istituzionale e dell’arricchimento professionale dei colleghi. A tenere in maggiore considerazione la messa a disposizione degli iscritti di servizi innovativi e opportunità concrete di far valere il “pensiero tecnico”. A fare politica anche per la categoria, oltre che per il Paese. A “coordinare e promuovere” con maggiore intensità “l’attività dei Consigli dell’Ordine, per favorire le iniziative intese al miglioramento e al perfezionamento professionale”. Lo specifica sempre il DLgs n. 139/05 che attribuisce al Consiglio nazionale il preciso dovere di “vigilare sul regolare funzionamento dei Consigli dell’Ordine”. Azioni precise, più che esempi incontestabili.
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