Un no «senza se e senza ma» al limite agli incarichi
Egregio Direttore,
ho letto con interesse il dibattito sul limite degli incarichi nelle società non quotate. Devo dire che non condivido né il limite né il dibattito. E lo dico “senza se e senza ma”, per quello che può valere il mio pensiero. Con il dibattito, mi sembra si sia voluto “mettere le mani avanti”. Vedete quanto siamo bravi, ci poniamo da soli dei limiti di funzioni e di incarichi, così non ce li ponete voi (Legislatore). Noi ci diamo limiti, voi (sempre Legislatore) dateci funzioni protette. Provocare una discussione su argomenti importanti per lo svolgimento della professione è sicuramente utile, specialmente quando questo ci porta a riflettere su “chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo” e su come svolgiamo il nostro lavoro. Ma questo dibattito non può essere reso pubblico ed aperto in modo indiscriminato: una cosa è la nostra funzione pubblicistica (attenzione! Non pubblica), un’altra è il porsi, all’interno della Categoria, domande su come debba essere orientato lo svolgimento dell’attività professionale. Non perché vi sia qualcosa da nascondere: siamo tutti i giorni “sulla piazza” a contatto con i clienti, la Pubblica amministrazione, la Giustizia. Non abbiamo alcuna protezione, né di riserve professionali, né tantomeno da eventuali errori e corresponsabilità (anche penali a vedere i venti che soffiano) a cui possiamo essere sempre chiamati. Il professionista che lavora male, che non adempie fedelmente e correttamente ai propri incarichi, che non rispetta i propri impegni, per quanto tempo potrà continuare a farlo prima di essere emarginato naturalmente dalla Categoria e dal mercato? Ponendo sul tavolo argomenti come la limitazione del numero degli incarichi, però, rischiamo di ottenere soltanto che – a causa di comportamenti scorretti di qualcuno – venga penalizzata tutta la Categoria: magari si stimolano coloro che non avevano preso in esame questi aspetti a farlo, in danno nostro ed a vantaggio di altri (società di revisione?).
Riguardo al limite, il raggiungimento dell’abilitazione professionale passa attraverso un percorso di studi, un tirocinio, un esame di abilitazione. Tutto ciò dovrebbe condurre alla formazione di una “cultura” professionale tale da rendere inutile porci vincoli che dovrebbero essere naturali in un professionista così formato. Casomai potremmo porci il problema di come vengono condotti, dagli iscritti all’Ordine, questo percorso e questa formazione del tirocinante. Condivido totalmente l’intervento del Presidente Siciliotti del luglio scorso, in particolare nel passaggio nel quale riconosce come “il tema del limite del cumulo non possa avere come presupposto quello della redistribuzione degli incarichi. È una leva populistica che molti utilizzano per questioni meramente politiche, non rendendosi conto degli effetti collaterali, oppure non curandosene affatto, per motivi di calcolo che nulla hanno a che vedere con l’interesse generale del Paese e dei colleghi”. Perché invece io credo che, dietro a questo polverone, ci sia una sorta di “socializzazione” degli incarichi che viene tentata da qualcuno, con l’aiuto magari inconsapevole ed intellettualmente onesto di altri che cercano di dare un contributo per migliorare la qualità della professione. Ricordiamoci che, anche se vogliamo proporci come intermediari/referenti tra i contribuenti e lo Stato, in realtà rimaniamo professionisti autonomi ai quali non è riconosciuto nulla se non un certo numero di incombenze a nostro carico e a vantaggio della Pubblica amministrazione stessa (postini telematici, archivisti delegati, addirittura investigatori delegati con l’antiriciclaggio, ecc…). Professionisti che lavorano per vivere e non vivono per lavorare (almeno io), che hanno l’interesse a lavorare sempre meglio proprio per assicurarsi la continuità e possibilmente la crescita del proprio lavoro, e che soffrono (sempre almeno io) ogni ulteriore appesantimento di un’attività che già è tanto difficoltosa di per sé. Non si possono misurare le situazioni generali sulle patologie. Quanti sono i professionisti che hanno più di 50 incarichi? Noi siamo 100.000.
Chiudo con una riflessione sui minimi tariffari (sic!) e sull’adeguamento delle tariffe (doppio sic!), richiamati nell’intervista al Presidente Siciliotti. In questo momento economico, ottenere i minimi tariffari sarebbe già un risultato. E non parlo per me che, dopo 30 anni di professione, qualcosa sul piano del riconoscimento della serietà (non della bravura), dell’onestà e dell’etica credo di aver ottenuto, ma per chi si affaccia alla nostra professione oggi, o chi la svolge da pochi anni. Siamo proprio sicuri che questi colleghi abbiano l’indipendenza economica che sta alla base della libertà umana, prima ancora che professionale? In questa realtà che vede le professioni – tutte – come rifugio della disoccupazione giovanile ormai da anni, credo che il problema non stia tanto nel limite degli incarichi, ma nell’attenzione da porsi da parte degli ordini – tutti – alla qualità del tessuto economico che forma le categorie professionali ed alla capacità di auto sostentamento dei professionisti. Il mercato seleziona, ma il bisogno fa uscire il lupo dal bosco...
Lorenzo Sampieri
Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Siena
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