Fisco poco equo: la colpa è anche delle Commissioni tributarie «superficiali»
Caro Direttore,
leggendo la dichiarazione del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera (si veda “Ganasce e sanzioni fiscali, in arrivo correzioni” dello scorso 20 maggio), secondo cui “L’attività è impostata sul rigoroso rispetto dei contribuenti, perché la nostra forza dipende dalla fiducia che ripone in noi la comunità”, non posso fare a meno di ritornare sulla vicenda trattata nella mia precedente lettera (“Saranno casi limite, ma non sempre Equitalia opera in modo equilibrato” del 12 maggio).
In tale vicenda, come si ricorderà, la Commissione adita si era riservata di decidere sull’illegittimità della riscossione integrale e sull’eccesso di potere di Equitalia, doglianze sollevate dalla ricorrente che era stata destinataria di due distinte comunicazioni concernenti l’iscrizione d’ipoteca legale su ben 51 immobili (terreni e fabbricati), aventi un valore di circa 5 milioni di euro contro un debito di meno di 200mila euro. Con sentenza n. 49/2/11, depositata il 10 maggio 2011, la Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, nello sciogliere la riserva, ha respinto il ricorso introduttivo, condannando la contribuente al pagamento delle spese del giudizio per oltre 4mila euro. In particolare i giudici, in nome del popolo italiano, hanno ritenuto che:
- la riscossione integrale della pretesa fiscale (con sanzioni e interessi), anziché dei due terzi come stabilito dall’art. 68 del DLgs. 546/1992, è legittima;
- il “credito” era esigibile, essendo assolutamente certo e liquido;
- l’iscrizione ipotecaria non dà luogo ad alcun effetto spoliativo del patrimonio del debitore, per cui non si pongono le questioni sollevate dalla ricorrente di sproporzionalità (importo del credito enormemente inferiore rispetto al valore dei beni ipotecati) e di responsabilità aggravata di Equitalia.
La ricorrente, a sostegno delle proprie tesi, aveva segnalato (e allegato) diversi documenti di giurisprudenza tributaria, di legittimità e di merito, fra cui la sentenza n. 7831/2010 con la quale i giudici di legittimità hanno ritenuto apertis verbis che il citato art. 68, comma 1, del DLgs. 546/1992 debba leggersi nel senso che “il pagamento del tributo deve essere effettuato nelle forme e nei limiti di cui alle disposizioni dell’articolo citato in tutti i casi, ed anche in deroga alle disposizioni di leggi speciali”.
Ma c’è di più. La sentenza della C.T. Prov. di Brescia n. 124/1/09, con cui era stato legittimato l’operato dell’Ufficio, consistente nel recuperare le due restanti rate dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni (art. 7 della L. 448/2001), è stata totalmente riformata dai giudici tributari regionali lombardi. Di conseguenza, l’Ufficio deve restituire alla contribuente non solo la somma iscritta a ruolo, ma anche la prima rata versata nell’anno 2004 in sede di autoliquidazione. Come si può notare, l’attività dell’Agenzia delle Entrate non appare completamente impostata sul “rigoroso rispetto dei contribuenti”, anche se nella vicenda in esame il rammarico maggiore è per la pronuncia dei primi giudici tributari bresciani. A proposito dei quali, dopo questa vicenda e quella precedente di cui alla sentenza della Provinciale di Brescia n. 47/12/11 (si veda “Edificabile «di fatto» il terreno qualificato come agricolo dal Comune” del 30 aprile 2011), chi scrive ha già manifestato la propria insoddisfazione dal punto di vista tecnico-giuridico. In buona sostanza, se vogliamo che le pronunce siano più adeguate, dobbiamo individuare quei pochi Collegi tributari che lavorano con molta superficialità. Solo con la loro “visibilità”, il processo tributario di merito potrà davvero svolgersi “in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” (art. 111, secondo comma, della Costituzione).
Antonio Piccolo
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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