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EDITORIALE

Storia di Telemaco e del Paese dei miracoli

/ Giancarlo ALLIONE

Lunedì, 7 luglio 2014

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Telemaco è un ragazzo di Casteldilato. Dopo un’onesta carriera scolastica si sta per laureare e come tutti i ragazzi italiani che si stanno per laureare sogna (o è costretto a sognare) un lavoro all’estero. Sa che lì dovrà accettare qualsiasi tipo di contratto, ma lo farà di buon grado perché come tutti gli sportivi sa che il posto in squadra bisogna meritarselo e, in ogni caso, è meglio scendere in campo con il rischio di essere sostituiti piuttosto che fare panca tutta la vita, o peggio non entrare neanche allo stadio.

Soprattutto sa che in Italia chi ha “vinto un concorso” dieci, venti, trenta anni fa ha il posto in campo assicurato, per sempre, in modo assolutamente indipendente dai risultati. Di conseguenza, sarà difficilissimo per lui avere un posto, anche se fosse il più bravo del mondo.
Assistiamo così ad un primo miracolo italiano: la collettività paga la formazione di un individuo, dall’asilo all’università, per un totale di 21 anni, e poi, quando il ciclo è completato, di fatto lo invita ad andarsene, magari a fare concorrenza dall’estero alle imprese italiane con l’affitto di casa strapagato da papà dall’Italia.

Ma per andare all’estero bisogna sapere bene l’inglese. E qui entra in campo un secondo miracolo italiano. La collettività paga, più o meno in tutti i cicli scolastici, insegnanti di inglese ai nostri ragazzi, i quali dopo averlo studiato nelle nostre scuole per almeno 13 anni (dalle medie all’università), alla fine continuano a non saperlo e devono andare all’estero a studiarlo per davvero.
Telemaco non fa eccezione. Alla fatidica, classica, imbarazzante, domanda vuole poter rispondere: “Conosco l’inglese piuttosto bene, scritto e parlato” e per raggiungere l’ambizioso obiettivo si è quindi iscritto ad una qualificata scuola in America.

Per andare negli Stati Uniti a studiare si è sottoposto a tutte le procedure necessarie, compreso un colloquio al consolato dove hanno stabilito che era degno di frequentare a sua cura e spese una scuola di lingue. Ma, come tutti sanno, per andare in America occorre anche il passaporto perfettamente in regola (quello con l’ologramma e il chip incorporato). La mamma di Telemaco si reca quindi senza indugio martedì 1° luglio dal tabaccaio ad acquistare la marca da bollo da 40,29 euro. Il tabaccaio stampa il contrassegno, incassa e consegna. Giunta a casa la mamma consegna a Telemaco il prezioso tagliandino da appiccicare sul passaporto, ma sul passaporto non c’è nessuna pagina deputata all’applicazione delle marche. Telemaco è molto scrupoloso, sa quanto sono inflessibili le autorità doganali e non volendo correre il rischio di vedere tutto vanificato da un’applicazione errata della marca, cerca su Google qualche indicazione al riguardo. E qui arriva l’incredibile sorpresa. Da un blog apprende che dal 24 giugno 2014, con la conversione del DL 66/2014, è stata eliminata la “tassazione applicata annualmente”.

La mamma di Telemaco è ancora nata nell’altro secolo, non si fida di internet, quindi telefona alla locale stazione dei carabinieri. Un gentile giovanotto risponde che non sa nulla, che è appena tornato dalle ferie, ma per darle una mano le fornisce il numero di telefono di un funzionario della questura. Il funzionario raggiunto al telefono conferma che la marca da bollo annuale non è più dovuta.

“Cavoli, ma adesso l’abbiamo comprata. Che facciamo?”. Senza perdersi d’animo la signora si reca dal tabaccaio e relaziona l’accaduto. Il tabaccaio eccepisce che lo sapeva benissimo, ma la nuova normativa, e quindi l’esenzione, si applicano solo ai nuovi passaporti. La mamma di Telemaco insiste e convengono alla fine di telefonare insieme al funzionario della questura. Il tabaccaio instaura così un dotto contraddittorio e alla fine ammette l’errore, affrettandosi ad informare la signora che, non essendo passata la mezzanotte, può annullare la marca e restituire i soldi. “Menomale che è tornata subito indietro, domani non avrei potuto fare più nulla”. Già, l’incasso, quello dello Stato, è notoriamente sacro.
“Comunque, signora, non è che ne facevamo più molte di queste marche. Ormai chi fa un viaggio intercontinentale parte da Parigi, da Francoforte o da Londra e quindi non mette la marca da bollo sul passaporto. È un piccolo risparmio, ma tutti sanno che se parti dall’Italia, in più hai questo aggravio di costi, oltre alla scocciatura di doverti procurare la marca”.

Terzo miracolo italiano: il nostro ordinamento è pieno di norme che rendono molto più conveniente fare le cose all’estero piuttosto che in Italia. Abbiamo addirittura un’imposta che colpisce esclusivamente il lavoro italiano, mentre il costo del lavoro incorporato in un oggetto importato ne è completamente esente. Come dire, a produrre in Bangladesh, oltre a pagare 4 soldi il malcapitato di turno, risparmi anche l’IRAP.

PS Fermi tutti: partire da Parigi e risparmiare la marca è un abuso del diritto. O no?

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