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EDITORIALE

Fattura elettronica: il pesce vale il prezzo della salsa?

/ Giancarlo ALLIONE

Lunedì, 2 luglio 2018

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Il rinvio della fattura elettronica va salutato con favore, anche se nel metodo lascia molto a desiderare.

Un problema oggettivamente complesso, come la lotta alle frodi IVA, è stato affrontato approntando strumenti di contrasto via via più complicati che hanno riversato sui contribuenti oneri amministrativi crescenti i cui costi, diretti e indiretti sarebbe fantastico poter misurare per sapere se sono almeno di un euro inferiori al maggior gettito reale che hanno generato.

Ora però, la prima introduzione della fattura elettronica, per cui si chiese all’Unione Europea la facoltà di anticipare, viene rinviata di sei mesi per scongiurare lo sciopero dei benzinai. Visto da fuori, tutto questo appare un po’ contraddittorio, ma ha il pregio di mettere in luce il nocciolo della questione: grazie alle possibilità apparentemente a buon mercato offerte dall’informatica, al contribuente, oltre alle tasse, sono richiesti in modo sempre crescente una serie di adempimenti che incidono profondamente sui processi organizzativi e amministrativi assorbendo tempo e risorse.

Le conseguenze di tutto questo sono completamente ignorate dal legislatore. In sede di emanazione di un provvedimento fiscale non è prevista alcuna valutazione formale dell’impatto organizzativo delle norme, giusto per provare a stimare, come avrebbe detto la zia di Chiusa Pesio, se il pesce vale almeno il prezzo della salsa. Quanto fatto finora è stato come riversare nel mare ogni volta un’autobotte di sostanze tossiche, tanto il mare è grande, le correnti in poco tempo sparpagliano tutto e alle fine ogni cosa si assesta. Le aziende però non sono isole con risorse infinite. Si devono misurare con concorrenti esteri che spesso operano in condizioni di grande vantaggio (in quanti paesi c’è già la fatturazione elettronica come la si vorrebbe fare noi?) e ridurre anche di poco la loro competitività è un rischio che non si deve correre, cercando quindi di prevedere e contenere effetti indesiderati e complicazione addotte.

Ad esempio, con la fattura elettronica, la fattura si ha per emessa al momento della conferma della ricezione da parte del sistema e, se ho capito bene, non è più modificabile. Dal punto di vista del fisco questo è un pregio: meno tempo per imbrogliare. Però, se la fattura contiene un errore nella descrizione, ad esempio è sbagliato il codice ordine, cosa devo fare? Emettere una nota di credito e poi emettere una nuova fattura? Facile, se non pensiamo alle conseguenze.
Se guardiamo il mondo dal buco della nostra serratura, ci sembrerà che non esista altro che quello che riusciamo a vedere dalla fessura. Ma se apriamo la porta vediamo immediatamente che dietro c’è molto altro. Ad esempio, se il pagamento è già stato contabilizzato, o anche solo è già stato avviato l’iter autorizzativo, o se è stata operata una ritenuta d’acconto, la maggior parte dei software avrà concatenato alla fattura originariamente emessa tutte le operazioni successive (arrivando fino alla lista dei movimenti che genereranno la CU per il percipiente). L’operatore dovrà allora “staccare” tutto quello che è accaduto dopo, per “riattaccarlo” alla nuova fattura solo per modificare il codice ordine. Va bene così?

Vi è poi il tema della sicurezza, di cui veramente si parla assai poco. Sono certo che l’Agenzia delle Entrate avrà chiesto e ottenuto dal fornitore della tecnologia il massimo della protezione dei dati che saranno raccolti.
Quando con lo spesometro fu possibile per qualche giorno accedere ai dati di tutti, si minimizzò affermando che si trattava di fatture.
Ora è senz’altro vero che una fattura è una fattura, ma tutte le fatture di un’impresa, complete di descrizione (attive e passive) per più anni di fila, sono una tac totalbody di un’azienda. Oggi almeno sono sparpagliate fra decine di migliaia di server, metterle tutte in un unico database con gli abilissimi hacker che ci sono in giro e il rischio di azioni fraudolente da parte di dipendenti, consulenti o fornitori infedeli, non lascia per niente tranquilli. Specie se si legge la Relazione al Parlamento 2017 sul Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica predisposta dalla Presidenza del consiglio dei Ministri: “La minaccia più significativa è stata rappresentata ancora una volta dallo spionaggio digitale, appannaggio quasi esclusivo di attori strutturati, che hanno colpito target critici per sottrarre loro know-how pregiato ed informazioni sensibili …”.

Resto saldamente del parere che sia necessaria una pausa, per riprogettare un processo graduale di introduzione della fattura elettronica coinvolgendo tutti gli attori interessati, valutando tutte le conseguenze dei provvedimenti introdotti, compresa la numerosità dei licenziamenti di personale amministrativo da più parti attesa e invocata quale primo pregio dell’iniziativa, e correggendo il tiro via via se del caso.
Esagero. Si potrebbero addirittura prevedere degli incentivi economici, magari maggiori per chi accetta di fare da apripista.  È pur sempre prima di tutto un interesse della collettività che tutte le fatture siano istantaneamente trasmesse all’Agenzia delle Entrate, non certo delle imprese e dei professionisti che ne sopporteranno l’onere. Se siamo disposti a riconoscere pensioni a chi non ha versato contributi, almeno una mancia a chi collabora fattivamente al progresso della nazione si potrebbe anche prevedere. Qualche centesimo su ogni fattura trasmessa, un po’ come chiedono le software house.

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