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LETTERE

Andrebbero monitorate le iniziative che rischiano di svilire la professione

Mercoledì, 8 gennaio 2020

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Gentile Direttore,
presi, come siamo tutti, dalle vicissitudini quotidiane, dall’aggiornamento sulle novità legislative di inizio anno, dalle modifiche a norme non ancora entrate in vigore o quasi, dai primi sintomi di “guerriglia” elettorale di categoria o dal prendersela sempre e comunque con il Consiglio nazionale (quale che sia in carica, di volta in volta) – quest’ultimo, in verità, preso dalle polemiche sul rimescolamento di cariche, deleghe e organizzazione interna, stando alle notizie di fine anno – ci si dimentica a volte dei problemi veri e di quale siano le dinamiche di cui preoccuparci.

Una di queste, fra le tante – e sì, forse la più preoccupante nel lungo periodo, per i suoi effetti potenziali, per chi avesse la pazienza di riflettere sul tema –, impatta direttamente sul mercato delle prestazioni professionali e ha (avrà) ricadute sull’organizzazione del nostro lavoro e sull’impianto delle regole deontologiche. E no, non mi riferisco alla digitalizzazione del lavoro in sé.

Stanno proliferando iniziative, blasonate o meno che siano, quali: piattaforme digitali o associative che intermediano e/o promuovono il lavoro dei Colleghi iscritti all’Albo; utilizzo di forme pubblicitarie aggressive e/o comparative, anche a mezzo social media, utilizzando termini riservati per legge ex DLgs. 139 (denigrative della professione, a volte); associazioni e/o registri “collaterali” ai soggetti prima indicati, che “specializzano” e/o “premiano” soggetti iscritti (a pagamento, a volte) nell’ambito delle materie di competenza specialistica dell’ordinamento professionale vigente.

Grandi o piccole che siano, e di grandi ve ne sono, anche a volte con la compresenza ordinistica a vari livelli, tali iniziative – ove lasciate senza regole deontologiche precise e chiare – rischiano di lasciar crescere un fenomeno che potrebbe portare allo svilimento della prestazione professionale resa da iscritti all’Albo tramite una sorta di “sfruttamento” di Colleghi che, per ingenuità o necessità, vi partecipano, generandosi così più fattispecie discutibili e/o censurabili: oltre che situazioni di potenziale concorrenza sleale (attraverso pubblicità aggressive e premi fittizi), anche situazioni di intermediazioni professionali e/o di retrocessioni economiche deontologicamente vietate, in taluni casi situazioni di vero e proprio abusivismo, anche attraverso azioni, pubblicitarie e/o sui social media, di denigrazione della professione e quindi di ogni singolo iscritto all’Albo.

Certo, non “tutte” le iniziative esistenti hanno profili di illiceità e/o di censura deontologica (e il nostro codice deontologico, su taluni aspetti, pare essere peraltro chiaro, vietando intermediazioni, retrocessioni, pubblicità aggressive o occulte e imponendo il rispetto delle regole deontologiche ai comportamenti delle strutture con cui si collabora professionalmente), ma il “tema” è avere contezza delle regole da seguire, in un contesto di mercato, mediatico, social e anche tecnologico in fortissima evoluzione.

Insomma: “o tutti e tutto, o che sia chiaro cosa si può e cosa no; a tutti e, soprattutto, per tutti”.
La “tutela della categoria” – tanto sbandierata, a volte (in campagna elettorale, soprattutto) – passa in concreto anche per questi temi.
Sarebbe quindi opportuno e di attualità – per chi qui scrive, che incidentalmente ha presentato una mozione in tal senso al proprio Ordine, da indirizzare al Consiglio nazionale – attivarsi per monitorare in maniera oggettiva il fenomeno descritto, tramite un’apposita indagine conoscitiva, al fine di rendere disponibile agli iscritti una presa di posizione ufficiale e individuando il perimetro di ciò che sia possibile fare o meno nonché, nel contempo, quali possano essere i possibili passi, nei confronti dei soggetti attori che non rispondano a detti “paletti”, a “tutela della categoria”.

Ciò, ovviamente, al fine precipuo di prevenire la diffusione di pratiche ritenute scorrette, informandone i Colleghi per consentire loro opportuna “cautela” in ordine a eventuali future possibili azioni (e sanzioni) di natura deontologica. Oltre che, nondimeno, di rendere a tutti accessibile, per “pari opportunità”, l’adozione di quelle pratiche che venissero invece ritenute corrette.

Perché, se si vuol perseguire davvero la “tutela della categoria”, lo si faccia iniziando da dove possiamo farlo da soli, senza bisogno di chiedere nulla a nessuno.


Francesco M. Renne
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Varese

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