Una pressione fiscale del 71,12% ostacola la libera iniziativa economica
Gentile Redazione,
una canzone del grande Lucio Dalla faceva più o meno così: “C’è un omino piccolo così, che torna sempre tardi da lavorare, e ha un cappello piccolo così, con dentro un sogno da realizzare, e più ci pensa più non sa aspettare … “. Questa che vi racconto, però, non è una storiella inventata ma qualcosa davvero accaduto e che accade costantemente.
Un giorno, il nostro “omino”, dipendente di una grande società, con la mansione di manutentore, viste le tante ore che dedicava al lavoro, si fece convincere dai propri amici, evidentemente ignari del fisco italiano, ad aprire la partita IVA. Siccome costui aveva appena acquistato casa, dove abitava con la moglie e due figli, per non metterla a repentaglio, decise di costituire una srl a socio unico; così, i primi giorni dell’anno, prese appuntamento dal notaio e dal commercialista per partire con la nuova iniziativa imprenditoriale.
Costituita la società e sistemati i molteplici adempimenti burocratici, iniziò a lavorare autonomamente; preso dall’entusiasmo, il nostro omino lavorò tutti giorni, sabati e domeniche compresi, sino a sera inoltrata e riuscì così a fatturare ben 300 mila euro a fronte di costi di competenza dell’esercizio per 200 mila realizzando così un utile ante imposte di 100 mila euro. L’omino, contento per il risultato raggiunto, proseguì l’attività anche l’anno successivo lavorando tutti i giorni sino a tarda sera nell’intento di riuscire a pagare anticipatamente le restanti rate del mutuo di casa.
Lavorò sodo fino a quando, a giugno dell’anno successivo, ricevette una telefonata dal proprio commercialista che gli comunicò l’importo delle imposte e dei contributi che avrebbe dovuto pagare in riferimento all’anno precedente e quale acconto per l’anno in corso:
- a saldo per l’anno precedente per la società: IRES 24.000 euro (24% di 100 mila), IRAP 3.900 euro (3,9% di 100 mila), imposta sostitutiva sui dividendi (26% utile netto imposte distribuito) 18.746 euro;
- a saldo per la propria posizione: contributi previdenziali INPS gestione artigiani (in quanto soggetto privo di anzianità contributiva) 24.478 euro per semplicità comprensivo dei contributi fissi;
- quale primo acconto per l’anno in corso per la società: IRES 12.000 euro, IRAP 1.950 euro;
- quale primo acconto per l’anno in corso per la propria posizione: contributi previdenziali INPS alla gestione artigiani 12.239 euro.
In tutto, il conto comunicato dal commercialista ammontava a 97.313 euro; costui spiegò all’omino che la pressione fiscale di competenza era pari al 71,12%, senza considerare i costi deducibili solo parzialmente quali, ad esempio, le spese telefoniche, i costi auto, le spese di vitto e alloggio. Inoltre, il commercialista fece presente all’omino che non poteva dedurre i contributi previdenziali pagati e non aveva nemmeno diritto a detrazioni per famigliari a carico poiché la deduzione dei contributi e le detrazioni per famigliari a carico sono riconosciute a coloro che hanno debenza IRPEF, cosa che lui non aveva.
Potete immaginare la reazione dell’omino quando ricevette la notizia… lui che pensava di riuscire a pagare in anticipo le rate del mutuo di casa e, invece, dovette indebitarsi ulteriormente per pagare le imposte e i contributi dato che, parte del risultato dell’anno precedente, lo aveva già speso per vivere e considerato che alcuni crediti che la società vantava nei confronti dei propri clienti non erano ancora stati incassati, ma, lo si sa, il fisco e l’INPS vogliono comunque le imposte e i contributi anche su questi.
Lascio ai lettori immaginare cosa decise di fare il nostro omino con buona pace dell’art. 41 della Costituzione e del ruolo sociale dell’iniziativa privata.
Stefano Zanardi
Ordine dei Consulenti del Lavoro di Parma
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