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IMPRESA

Il socio non amministratore di srl risponde dei danni gestori anche se non voluti

Sufficiente la volontà di condizionare la condotta dannosa degli amministratori

/ Maurizio MEOLI

Martedì, 16 dicembre 2025

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La Cassazione, nell’ordinanza n. 32545/2025, ha stabilito che, nell’ambito delle srl, la responsabilità solidale del socio con gli amministratori, di cui all’art. 2476 comma 8 c.c., si determina, a livello oggettivo, con l’accertamento del compimento, da parte del socio, dell’atto di gestione rivelatosi dannoso o con la consapevole autorizzazione o induzione, da parte sua, al relativo compimento da parte dell’organo amministrativo, e, a livello soggettivo, con l’accertamento della piena e preordinata consapevolezza del compimento dell’atto stesso; qualificabile come stato soggettivo doloso (e non già meramente colposo) rispetto alla influenza sulla gestione e non rispetto al danno.

Ai sensi della citata disposizione del codice civile, “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori … i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”.
Alla base si pone la constatazione che nella srl disegnata dalla riforma del diritto societario il socio ha un peso decisamente maggiore che nella precedente, specie in termini di diritti amministrativi (si pensi, in particolare, ai rilevanti poteri di ispezione e di controllo dell’attività gestoria). Peso che, a determinate condizioni, può comportare anche una sua responsabilità per fatti di gestione; circostanza che resta esclusa nelle spa dove rimane una rigida distinzione dei ruoli.

Dal punto di vista dell’elemento oggettivo della condotta, i fatti di cui il socio potrebbe essere responsabile devono attenere alla gestione; rispondendone per aver concorso con gli amministratori a prendere la decisione o per avere autorizzato o indotto gli amministratori a prenderla.

Quanto al profilo soggettivo, il legislatore ha inteso limitare la responsabilità di cui si discute alle sole ipotesi in cui sia possibile ravvisare una consapevolezza e una volizione del comportamento, qualificabile come stato soggettivo doloso. Il socio non amministratore deve essersi rappresentato le conseguenze della sua condotta in termini di influenza sulla gestione e, ciononostante, deve aver voluto porre in essere il comportamento di ingerenza. Irrilevanti si presentano le condotte meramente colpose.

In pratica, il socio non risponde con l’amministratore per mala gestio in relazione a qualsiasi condotta riferibile alla propria condizione di organo “proprietario” della società, ma solo di quei comportamenti che siano qualificabili come “gestori” (nel senso che, benché riferibili al socio non amministratore, finiscano per essere attività propriamente riconducibili alle competenze degli amministratori) e che abbiano condizionato gli amministratori nell’atto gestorio poi rivelatosi dannoso.
A tali fini, però, è essenziale che il socio non amministratore abbia “voluto” il “comportamento” dannoso, non che abbia voluto anche il “danno” (cfr. anche Cass. n. 22169/2025).

È in questi termini che deve essere inteso l’avverbio “intenzionalmente”; introdotto proprio per limitare la portata della responsabilità del socio non amministratore, escludendo non solo i comportamenti in alcun modo voluti, ma anche quelli che siano posti in essere con un atteggiamento “non intenzionale”, ossia colposo.
Devono, allora, ritenersi non idonee a determinare detta responsabilità le condotte poste in essere senza alcuna consapevolezza delle conseguenze; vale a dire che restano esclusi i comportamenti posti in essere “inconsapevolmente”, cioè per colpa, in tutte le sue articolazioni giuridiche.

Né la lettera della norma, né la complessiva ricostruzione sistematica della natura della srl, invece, impongono anche l’accertamento della preventiva consapevolezza da parte del socio delle conseguenze dannose del suo operare.
Ciò che rileva è l’intenzionalità del comportamento, senza che possa assumere rilevanza il tipo di dolo e, in particolare, il dolo specifico di danno.

Il fatto che il socio risponda solo per il suo doloso comportamento, mentre l’amministratore formale in ogni caso, assicura coerenza al sistema. La srl, infatti, per quanto “avvicinata”, dalla riforma del diritto societario, alle società di persone, resta comunque una società di capitali, come tale fondata, in base alla teoria organicistica, su una netta distinzione tra gli organi, che hanno diritti e doveri del tutto diversi tra loro. Di conseguenza, solo in casi eccezionali la responsabilità di un organo (nella specie, del socio) può “esondare” nella responsabilità di un altro (nella specie, dell’amministratore).

Ciò spiega perché l’amministratore risponde del danno provocato anche per situazioni imputabili a titolo di colpa e il socio non amministratore, invece, solo a titolo di dolo. Ciò, tuttavia, senza che debba limitarsi la responsabilità del socio ai soli casi di dolo specifico, poiché tale conclusione – priva di riferimenti testuali e incoerente a livello di ricostruzione sistematica del modello srl – finirebbe per restringere eccessivamente e irragionevolmente il perimetro di applicazione dell’art. 2476 comma 8 c.c.

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