Verso un diverso assetto penale e 231 per violazione delle misure restrittive Ue
Il DLgs. attuativo della direttiva Ue 2024/1226 ridefinisce il sistema con misure penali e amministrative specificamente calibrate sulle violazioni
Nella riunione dell’11 dicembre 2025, il Consiglio dei Ministri, come reso noto nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, ha approvato in esame definitivo lo schema di DLgs. di attuazione della direttiva Ue 2024/1226, relativa alla definizione dei reati e delle sanzioni per la violazione delle misure restrittive dell’Unione europea e alla modifica della direttiva Ue 2018/1673. Il provvedimento si inserisce nel più ampio processo di ridefinizione del quadro sanzionatorio applicabile alle sanzioni economiche internazionali dell’Ue, segnando un rafforzamento significativo dell’apparato repressivo e preventivo in materia.
Il decreto, in effetti, costituisce il punto di arrivo di un percorso avviato su impulso unionale e sviluppatosi secondo il consueto iter di recepimento delle direttive europee, rilevando nel caso di specie la direttiva 2024/1226. Lo schema, trasmesso a Camera e Senato nell’ottobre 2025 quale atto del Governo sottoposto a parere parlamentare, è stato accompagnato dalla relazione illustrativa, dalla cui analisi emerge con chiarezza come l’intervento non si limiti a un adeguamento puntuale della normativa vigente, ma introduca un mutamento strutturale dell’approccio penalistico alle violazioni delle misure restrittive.
Nel sistema previgente, infatti, la disciplina risultava frammentata e in larga parte adattata a schemi normativi di carattere generale, se non generico. Un ruolo centrale era svolto dal DLgs. 221/2017, adottato in attuazione della normativa Ue in materia di esportazioni e controlli sui beni a duplice uso, che aveva esteso il proprio ambito anche a talune violazioni delle misure restrittive dell’Unione. Tale decreto prevedeva un sistema sanzionatorio in parte amministrativo e in parte penale, prevalentemente calibrato sulle esportazioni illecite e sul mancato rispetto dei divieti imposti dai regolamenti Ue. Tuttavia, l’impianto del DLgs. 221/2017 risentiva di un’impostazione fortemente ancorata alla logica del “dual use”, non sempre idonea a intercettare fattispecie più complesse, quali l’elusione delle sanzioni, l’impiego indiretto di fondi o risorse economiche inibite ovvero le operazioni di importazione in violazione di misure restrittive non riconducibili a beni sensibili in senso stretto.
L’attuale contesto geopolitico ha reso evidente l’inadeguatezza di tale quadro, determinando l’accelerazione impressa dal legislatore unionale e nazionale e, in questo senso, si muove il nuovo decreto legislativo che, da un lato, ridefinisce il sistema sanzionatorio prevedendo misure penali e amministrative specificamente calibrate sulle violazioni delle misure restrittive Ue e, dall’altro, riconduce tali violazioni a una responsabilità non più esclusivamente personale, ma estesa anche all’ente, nell’ambito del DLgs. 231/2001.
Proprio l’estensione della responsabilità agli enti rappresenta uno degli aspetti di maggiore impatto operativo, imponendo alle imprese una revisione dei modelli organizzativi e dei presidi di compliance, perché il quadro regolatorio è ora rinnovato, articolato e reso più complesso, chiamando le imprese all’adozione di meccanismi di protezione e prevenzione adeguati.
In particolare, dal testo sottoposto a parere parlamentare risulta la scelta di intervenire direttamente sul codice penale, mediante l’introduzione di una autonoma categoria di reati, rubricata come “Delitti contro la politica estera e la sicurezza comune dell’Unione europea”, volta a raccogliere in modo organico le fattispecie penali connesse alla violazione delle misure restrittive, mentre le sanzioni per le imprese sono commisurate al fatturato globale totale dell’ente, con ulteriori sanzioni interdittive.
È il caso, ad esempio, dell’operatore che esporta, in Russia o Bielorussia o Iran o altri Paesi oggetto di embargo, beni vietati e che diventano tali per via di una riclassificazione doganale operate in sede di controllo, oppure di beni che, non correttamente valorizzati, superano il limite ammissibile per i beni di lusso come arredi, elettrodomestici, prodotti di abbigliamento o di arredamento. O, ancora, di chi viola divieti afferenti al trasferimento di software o altre tecnologie intangibili vietate o di chi importa risorse energetiche o commodities rientrante tra i beni listati, come il petrolio greggio o il gas.
Un ulteriore profilo meritevole di attenzione, espressamente desumibile dall’atto governativo, è poi rappresentato dalla valorizzazione di ipotesi di violazione colposa delle misure restrittive dell’Unione europea. A quanto pare, l’estensione della rilevanza penale anche a condotte non sorrette da dolo amplia sensibilmente l’area del comportamento penalmente rilevante e rafforza l’effetto preventivo della disciplina, valorizzando l’obbligo di diligenza gravante sugli operatori economici attivi nei traffici internazionali.
Sul versante dei controlli, il nuovo assetto normativo si innesta su un quadro già in evoluzione: il DLgs. 141/2024 non a caso ha attribuito all’Agenzia delle Dogane e dei monopoli specifici poteri di verbalizzazione non solo in materia di fiscalità di confine e corretto esercizio dei regimi doganali, ma anche in materia di violazioni di divieti e restrizioni. Accanto alla Guardia di finanza, l’autorità doganale è quindi destinata a svolgere un ruolo centrale anche nell’accertamento delle nuove fattispecie penali: in effetti, il rafforzamento del profilo extra-tributario dell’azione di controllo conferma il progressivo affiancamento tra tutela fiscale e tutela dell’ordine pubblico economico, segnando un passaggio decisivo verso un modello più integrato e coerente di enforcement delle sanzioni economiche dell’Unione europea.
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