La lotta all’abusivismo professionale rimane una priorità
Un sondaggio promosso dall’Unione giovani conferma l’attenzione dei commercialisti sul tema. Cataldi: «Servono azioni più incisive»
La maggior parte dei commercialisti italiani ritiene che, oggi più che mai, valga la pena combattere la battaglia contro l’abusivismo professionale. L’indicazione, da tenere necessariamente a mente specie in un momento in cui ci si avvia al rinnovo delle rappresentanze e alla riforma della legge ordinamentale, arriva da un sondaggio promosso dall’Unione giovani, presentato la scorsa settimana a Padova nel corso del Forum “Cambiamenti”.
Alla specifica domanda sulla necessità di lottare contro l’abusivismo ha risposto positivamente l’84,2% dei rispondenti. Un monito non solo per le istituzioni, di categoria e non solo, ma anche per gli stessi commercialisti, che troppo spesso, pur essendo a conoscenza di soggetti che svolgono la loro stessa attività non avendone titolo, non fanno nulla per segnalarli. Il 75,7%, infatti, dichiara di non aver mai preso iniziativa in tal senso, né di aver chiesto a qualche collega di farlo, forse anche scoraggiati da procedure che nella quasi totalità dei casi portano a un nulla di fatto. Indicativa la risposta a questa specifica domanda: il 95% delle segnalazioni non ha avuto alcun effetto, mentre solo nel 5% dei casi hanno portato all’avvio di un procedimento penale o alla diffida all’abusivo.
Altra nota dolente quella legata alla comunicazione e alla promozione dell’attività. Oltre la metà dei rispondenti (55,1%) afferma di imbattersi continuamente (25,8%) o spesso (29,3) in marketing aggressivo (nei toni) fatto da società o soggetti non iscritti su attività di propria competenza. Di contro, solo poco più di un quarto (27,9%) utilizza i social per promuoversi tra potenziali clienti e colleghi. Ovviamente, nel farlo c’è da rispettare le prescrizioni del codice deontologico in materia di pubblicità e questa è considerata una limitazione (56%) non in quanto tale, ma rispetto ad altri soggetti non ordinistici che non devono sottostare agli stessi vincoli.
In chiaroscuro anche la considerazione verso il proprio Ordine territoriale. La maggior parte dei rispondenti dichiara che viene riconosciuta una valorizzazione almeno parziale dei giovani colleghi, tuttavia, per il 45 per cento degli iscritti tale attenzione non risulta sufficiente. Inoltre, gran parte degli iscritti valuta in misura insufficiente l’operato del proprio Ordine territoriale nella costruzione di rapporti efficaci con gli uffici, dall’Agenzia delle Entrate a INPS e INAIL, fino ai Tribunali. In alcuni casi, gli Ordini sono percepiti come troppo statici e non al passo coi tempi, segno, commenta Francesco Cataldi, Presidente dell’UNGDCEC, “della necessità anche di un rinnovamento la cui importanza, del resto, sembra essere più avvertita di quanto fosse in passato”.
Un rinnovamento che, secondo l’Unione, passa “necessariamente dai giovani, dalla capacità di essere più attrattivi, coinvolgenti e di ispirare ed incentivare, certamente in sinergia con gli altri attori della categoria, percorsi di crescita che permettano di aumentare l’appeal della professione, ad esempio aumentando le occasioni di confronto con scuole ed Università”.
Quanto all’abusivismo, “i dati – conclude Cataldi – ci dicono che continua a colpire la categoria e che, quando si segnala, troppo spesso non si ottiene una risposta efficace. Serve rafforzare i canali di segnalazione e rendere più incisive le azioni, lavorando insieme a Ordini, Consiglio nazionale e istituzioni”.
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