La fattura falsa rileva penalmente quando esce dalla disponibilità di chi l’ha confezionata
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5169, depositata ieri, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000, ha precisato che i concetti di “emissione” e di “rilascio” presuppongono il materiale confezionamento di una falsa fattura; attività cui se ne sovrappone una successiva, consistente nell’invio (“emettere”) o nella consegna (“rilasciare”) del documento contabile mendace.
A fronte di ciò, è vero che, ai fini della consumazione del reato non basta la mera formazione della fattura falsa, ma non è altrettanto vero che occorre anche che il documento giunga nella sfera di conoscenza del destinatario, dovendosi invece ritenere sufficiente, per la configurabilità del reato, che la fattura esca dalla disponibilità del soggetto emittente o rilasciante.
L’emissione e il rilascio, infatti, non devono essere qualificati come atti recettizi, esaurendosi nella diffusione del documento – che si realizza al momento della fuoriuscita dello stesso dalla disponibilità del suo autore – le attività propedeutiche al ricevimento dell’atto da parte del suo destinatario (quali, ad esempio, la trasmissione telematica o l’invio materiale del documento cartaceo).
Peraltro, un’anticipazione della soglia di consumazione del reato alla fase della formazione deve ritenersi sussistente nel caso della c.d. “autofatturazione” (ex art. 21 comma 6-ter del DPR 633/72); ciò in quanto, ancorché la norma parli pure in tale ipotesi di “emissione”, deve comunque ritenersi sufficiente il materiale confezionamento del documento mendace.
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