Alcune precisazioni sul referendum in materia di Jobs Act
Gentile Redazione,
vi scrivo in merito all’articolo pubblicato su Eutekne.info (si veda “Si avvicina la data dei referendum abrogativi” del 2 giugno), che a mio parere contiene alcune semplificazioni che, nel clima di una campagna elettorale caratterizzata da appelli propagandistici piuttosto che da elementi di merito, rischiano di essere strumentalizzate da letture di parte.
La prima semplificazione è laddove si scrive che “un referendum riguarda l’abrogazione dell’intero Jobs act (o contratto a tutele crescenti), vale a dire il Dlgs. 23/2015”. In verità, quel decreto è solo uno degli otto decreti legislativi che attuano la legge delega di riforma del lavoro comunemente chiamata “Jobs act” (L. 183/2014). A costo di apparire un po’ pedanti, è utile ricordarli tutti, per catturare l’ampiezza di quell’intervento normativo. Primo: DLgs. 22/2015, ammortizzatori sociali per disoccupazione involontaria (nascono la Naspi, la Discoll e l’Asdi, primo tassello del Reddito di inclusione). Secondo: DLgs. 23/2015, contratto a tutele crescenti. Terzo: DLgs. 80/2015, conciliazione vita-lavoro (si rafforzano i congedi parentali). Quarto: DLgs. 81/2015, riordino delle tipologie contrattuali (si aboliscono i co.co.pro. e con l’articolo 2 s’impone una stretta sulle finte partite IVA). Quinto: DLgs. 148/2015, cassa integrazione e ammortizzatori in costanza di rapporto. Sesto: DLgs. 149/2015, riorganizzazione delle attività ispettive. Settimo: DLgs. 150/2015, politiche attive del lavoro (si crea l’Anpal, l’agenzia nazionale, e si struttura la rete nazionale delle politiche attive del lavoro). Ottavo: DLgs. 151/2015, semplificazioni e razionalizzazione normativa (si introduce, tra le altre cose, una procedura telematica contro le dimissioni in bianco).
Volendo, anche se formalmente non fanno parte della legge delega del 2014, a questo disegno riformatore si agganciano due disegni di legge collegati alla legge di bilancio 2015: la L. 81/2017 (il cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo) e la L. 147/2017 (che istituisce il Reddito di inclusione).
È quindi evidente che il referendum non abroga il Jobs Act, ma solo un suo ingrediente, tra l’altro già stravolto da un intervento legislativo e da successive sentenze della Corte Costituzionale.
La seconda semplificazione è laddove si scrive che in caso di vittoria del Sì al referendum “in caso di licenziamento illegittimo anche per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 tornerà ad applicarsi l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (la L. 300/1970)”. Formalmente è così, ma sul piano sostanziale, affinché chi vota possa fare una scelta informata, è importante ricordare che quell’articolo non risponde più alla formulazione originaria del 1970, ma a quella scaturita dalle modifiche attuate dal Governo Monti con la L. 92/2012. Quella legge aveva già ridotto ampiamente gli spazi della tutela reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo, a favore della tutela risarcitoria tramite indennizzo.
La vera novella del contratto a tutele crescenti non sta nella riduzione del reintegro, ma – come dice il nome – nel legare l’indennità risarcitoria all’anzianità di servizio. Riducendo i costi di licenziamento nei primi anni del rapporto di lavoro, con l’intento di favorire le assunzioni a tempo indeterminato a scapito di quelle con contratti atipici. Ebbene, questa caratteristica fondamentale del contratto a tutele crescenti non esiste più, perché una sentenza della Corte Costituzionale ha restituito al giudice la discrezionalità nello scegliere l’indennizzo tra un minimo e un massimo. Di conseguenza, incaponirsi a voler cancellare un contratto che ha già perso la sua formulazione originaria finisce per produrre non pochi effetti collaterali.
È vero che in alcuni casi di licenziamenti economici la tutela reintegratoria si allargherebbe in caso di vittoria del Sì. Ma si tratta comunque di casi limitati dal fatto che si torna alla riforma del Governo Monti, non all’originario articolo 18. E con il costo che l’indennizzo massimo che un giudice potrà concedere in caso di licenziamento illegittimo scenderà da 36 a 24 mesi. Non proprio un affarone. Non solo: proprio il reintegro scomparirà per alcune categorie di lavoratori e per alcune fattispecie di licenziamento illegittimo, perché il Jobs Act lo prevedeva e la riforma Monti no.
È la Corte Costituzionale, nella sentenza che ammette il referendum abrogativo di cui stiamo parlando, a spiegare che in alcuni casi particolari, qualora vincesse il Sì, la tutela reintegratoria si ridurrebbe: “Ciò si verifica nelle ipotesi del licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore prima del superamento del cosiddetto periodo di comporto (art. 2110, secondo comma, codice civile, all’esito della citata sentenza n. 22 del 2024 di questa Corte) e in quelle in cui il giudice accerti che il licenziamento intimato per disabilità fisica o psichica del lavoratore è ingiustificato perché l’inidoneità allo svolgimento delle mansioni assegnategli «non [era in realtà] riconducibile ad una condizione di disabilità» (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 maggio 2024, n. 14307). In questi casi, infatti, è garantita la tutela reintegratoria “piena”, anziché quella “attenuata” prevista dall’art. 18 statuto lavoratori. Parimenti di favore è l’estensione della disciplina dettata dal d.lgs. n. 23 del 2015 (art. 9, comma 2) ai licenziamenti intimati dalle cosiddette organizzazioni di tendenza, esclusi invece dal campo di applicazione dell’art. 18 statuto lavoratori”.
Lavoratori e lavoratrici di sindacati, partiti e organizzazioni religiose; lavoratori licenziati nel periodo di comporto per malattia; lavoratori con disabilità licenziati ingiustamente: per loro il reintegro scomparirà se si abroga il Dlgs. 23/2015. Un effetto paradossale per un referendum promosso da chi sostiene che il reintegro è un diritto fondamentale.
Queste precisazioni hanno solo l’intento di migliorare la comprensione degli impatti normativi dei quesiti. Dato che il diavolo si nasconde spesso nei dettagli, su temi così complessi, procedere per via abrogativa finisce per fare più danni della grandine.
Tommaso Nannicini
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In merito alle osservazioni formulate nella lettera, si ritiene di precisare che, pur nella necessità di sintesi richiesta da un articolo riepilogativo, nell’articolo non vi sono elementi che inducono a ritenere che oggetto del referendum non sia soltanto il DLgs. 23/2015 e che, in caso di abrogazione, possa essere applicata la versione originaria dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e non quella modificata nel 2012.
Giada Gianola
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